
Perché non riesci ad esprimere le tue emozioni
Il termine anestesia viene accostato, nell’immaginario collettivo, al mondo della medicina. Il chirurgo, prima di intraprendere un’operazione che costerebbe grande dolore al paziente, somministra a quest’ultimo determinate sostanze che lo indurranno in uno stato di incoscienza. Dopo l’intervento, la persona tornerà a vivere, a potersi muovere e a socializzare. Durante lo stato di incoscienza indotta, tuttavia, non vi sono movimenti né sensazioni.
Nel linguaggio moderno tale termine è stato ripreso con differenti connotati. Si parla di anestesia emotiva quando la persona non riesce a esprimere e a riconoscere i propri stati d’animo. Al contrario di quanto si pensi, è molto comune provare difficoltà in tal senso. Entrare in contatto con le emozioni esse può non essere semplice per una serie di cause che approfondiremo nelle prossime righe.
Come al solito, ti ricordo che tali informazioni hanno carattere puramente divulgativo e non possono sostituire in alcun caso il parere di un professionista. Se pensi di aver bisogno di un supporto qualificato interamente online, che risponda alle tue esigenze ti consiglio di leggere fino alla fine. Nell’ultimo paragrafo ti spiegherò come ottenere un colloquio gratuito, senza impegno. E ora, bando alle ciance: partiamo alla scoperta dell’anestesia emotiva.
Perché è importante provare (e comunicare) i propri stati d’animo?
Le emozioni sono quella marcia in più che ci hanno permesso di evolverci in ambienti ostili. Scappare in preda alla paura dinanzi ad un grande predatore, uccidere per non essere uccisi, amare per salvaguardare la prole e permettere così il germogliare degli esseri umani. Oggi però, per alcune privilegiate parti del pianeta, l’ambiente nel quale viviamo e cresciamo ha perso del tutto quell’alone di pericolosità.
Ci siamo evoluti, abbiamo costruito tecnologie incredibili, ma il nostro cervello è rimasto quello di diecimila anni fa: programmato per resistere a stati di stress in acuto, e non in cronico. La cronicità dello stress non ci permette di recuperare come vorremmo, e danneggia tanto il nostro vissuto personale quanto professionale. Ma torniamo al focus principale della guida di oggi: le emozioni. Qualunque evento può generare nella persona un’emozione forte che se protratta nel tempo può portare all’esaurimento: emozioni forti generano stress. Allo stesso modo, soffocare ciò che si sta provando avrà comunque un effetto negativo sull’organismo. Ecco un esempio chiarificatore.
Conseguenze dell’anestesia emotiva
Prendiamo in esame la rabbia, già trattata in una guida precedente. Sapersi arrabbiare, quindi esprimere la propria rabbia, è di fondamentale importanza per manifestare i nostri stati interiori, e rendere consapevoli le altre persone che noi in quel preciso istante siamo contrariati. Sopprimere tale pulsione sarebbe controproducente, così come sarà altrettanto controproducente lasciarsi travolgere dalla collera ogni volta che siamo contrariati.
Se eccessivo, lo stato di rabbia può rappresentare una causa che porterà poi ad una crisi di coppia, ma è vero anche il contrario. Censurare i propri sentimenti potrebbe altresì portare alla maturazione di un disagio psicologico e poi sfociare comunque in una crisi. Inoltre, secondo alcune ricerche il fatto di manifestare o di non manifestare la propria rabbia porterebbe ad un potenziale aumento di contrarre patologie cardiovascolari e psicopatologie come ansia e depressione. Tutto questo per dire che arrabbiarsi in continuazione o al contrario reprimere i propri sentimenti predispone a pericoli per il benessere psicofisico.
In altre ricerche, inoltre, è stato evidenziato un rapporto tra l’esordio di malattie psicosomatiche. Questo perché nella gran parte dei casi chi è anestetizzato emotivamente percepisce le proprie sensazioni fisiche come amplificate. I tra i sintomi fisici elencabili possiamo trovare il mal di pancia, problematiche intestinali, gonfiori addominali, nausea ed emicrania.
Saper riconoscere ciò che provi è quindi fondamentale per stare meglio con se stessi e con gli altri. Per costruire solide reti sociali, avere rapporti di amore e di amicizia e molto altro. Vivere una continua situazione di Anestesia emotiva potrebbe quindi portare all’innesco di un circolo vizioso importante. Cosa fare per uscire da tale situazione?
Riconoscere e gestire le proprie emozioni
Il modo migliore e senz’altro più completo rimane quello di affidarsi ad un terapista in grado fornire un supporto adeguato. Troppo spesso, in casi simili, ci si rivolge a personaggi dubbi che vendono un risultato “facile da ottenere” ricorrendo a metodi dai nomi altisonanti. Ricercare l’affinità con le proprie emozioni, e poi di conseguenza imparare a gestirle è roba da professionisti, e di certo non sarà semplice. Un percorso con un* psicolog* è senz’altro il metodo maggiormente indicato.
Spero di averti dato una mano a comprendere l’importanza dei vissuti emotivi. Se ritieni di aver bisogno di un supporto, ma non sai bene come funziona o da che parte iniziare, ti aiuteremo anche in questo. Consci di quanto sia difficile trovare uno psicologo che si adatti alle esigenze di chi decida di affidarsi a noi, abbiamo brevettato un metodo unico nel suo genere, che prevede tre passi fondamentali. Per prima cosa, dovrai procedere alla compilazione di un questionario che ci permetterà di comprendere le tue esigenze. In secondo luogo, ti affideremo ad uno dei nostri professionisti, con il/la quale potrai fissare un primo colloquio online gratuito e senza impegno. Dopo aver compreso e se il terapeuta del nostro team potrà aiutarti, potrai decidere come proseguire. Compila il questionario e usufruisci del primo colloquio conoscitivo gratuito. Life is too short to be unhappy.

Crescita personale e professionale: il ruolo della psicologia
Il termine crescita personale è forse uno dei più famoso ed abusati, che come tanti altri costrutti è stato vincolato a luoghi comuni perdendo nel tempo il suo reale significato. Ad esso spesso si accosta un altro concetto, quello della crescita professionale. In entrambi i casi, il ruolo dello psicologo è centrale perché egli, professionista dei meccanismi mentali, può fornire consigli preziosi o insegnare tecniche per uscire da situazioni difficili.
Situazioni lavorative o personali se non affrontate al fianco di un terapista potrebbero sfociare in un profondo disagio psicologico. L’uso del condizionale è d’obbligo: non siamo qui a fare terrorismo, bensì a fornire soluzioni concrete a potenziali bisogni. Certo, non è detto che ogni condizione problematica sia sinonimo di disagio psicologico. Se tuttavia sei in difficoltà, o vorresti migliorare la tua condizione con conoscenze psicoeducative, sei nel posto giusto.
Qui sul nostro blog troverai moltissime guide utili a comprendere che lo psicologo online non è un problema del quale vergognarsi, bensì un prezioso alleato per stare meglio o migliorare le tue capacità. Se sei interessat* a stare meglio, nell’ultimo paragrafo scoprirai come poter usufruire del primo colloquio conoscitivo gratuito con il membro del nostro team più adatto alle tue esigenze. Ma ora bando alle ciance: scopriamo cosa significa davvero crescita personale e perché può essere utile maturare competenze “della persona” anche in ambito lavorativo.
Crescita personale: un fenomeno complesso
Crescere personalmente significa portare l’attenzione ai conflitti interiori, scoprendo nuovi mondi e nuove parti di noi stessi sconosciuti. Tale viaggio è ideale per comprendere al meglio i tuoi punti di forza, analizzando e accettando i punti deboli. Si tratta di un processo di valorizzazione delle proprie risorse che permette di acquisire una maggior consapevolezza e padronanza del proprio potenziale.
Da quest’ultima definizione avrai certamente capito che non basta esporsi ad esperienze nuove per crescere. Prendiamo, ad esempio, un expat italiano. Una persona che decide di cambiare la propria vita trasferendosi all’estero. Si tratta di un profondo mutamento, che pone non poche difficoltà. Come al solito, gli epiloghi probabili sono due. La persona potrebbe riuscire a trovare un proprio equilibrio personale, adattandosi al “nuovo mondo”. Oppure, in caso contrario, sarà costretta a tornare al paese natale perché impossibilitata nel vivere così lontano da famiglia e amici di una vita.
Che l’esito sia positivo o negativo, è utile sottolineare l’importanza di alcune abilità fondamentali. E, attenzione, mi riferisco a skills prettamente psicologiche. Il saper socializzare nonostante le iniziali barriere linguistiche o la capacità di non farsi sopraffare dagli imprevisti gestendo ansia e stress potrebbero fare la differenza. Per aspirare a tali risultati, però, è necessario affidarsi a specialisti come psicologi abilitati o affini. Ecco altri benefici che potrai ottenere lavorando a fianco di un professionista del settore:
- Miglior gestione delle relazioni (partner, amicali);
- Acquisizione di una miglior sicurezza e autostima;
- Miglioramento dell’autoefficacia in compiti specifici che prima sembravano difficili;
- Imparerai a capire chi sei e dove vuoi andare.
Immagina di intraprendere la strada della crescita personale: acquisirai maggiore sicurezza, sarai pront* a gestire eventuali situazioni difficili grazie alle tecniche psicologiche apprese. Svilupperai abilità sociali, il tuo atteggiamento mentale sarà differente e questo influenzerà positivamente anche la tua professionalità. Crescere professionalmente presuppone ANCHE l’acquisizione di skills spendibili in ruoli specifici, tuttavia potenziare la parte personale è fondamentale.
Numerose ricerche hanno inoltre mostrato che ad un aumento del benessere psico-fisico corrisponde anche un miglioramento di performance cognitiva. Cosa significa?
Crescita personale e professionale: due volti della medesima medaglia
Il termine latino “persona” viene tradotto in italiano come “maschera”. Ognuno di noi, pur rimanendo sempre se stess*, adotta diverse maschere durante l’intero arco della giornata. Possiamo essere tirocinanti, manager, padri, madri, figlie, figli, sorelle, fratelli, dipendenti, capi area, amici o amanti. Ciò che facciamo in famiglia o che viviamo nel nostro intimo influenzerà per forza di cose anche la nostra sfera professionale e viceversa.
Per esempio, il non sentirsi soddisfatti dalla propria rete sociale, sentendo quel forte bisogno di avere amici più affini ai nostri interessi potrebbe generare pensieri intrusivi, lasciando spazio a convinzioni nocive (pensiero di non essere interessanti o comunque non all’altezza degli altri, etc…). A loro volta pensieri intrusivi generano disagio psicologico, manifestabile in prima battuta come stress.
Come abbiamo visto in alcune delle scorse guide, lo stress influisce negativamente sulla performance lavorativa e sul benessere percepito. Vivere una realtà quotidiana difficile, senza avere la possibilità di recuperare, può essere fonte di difficoltà. I sintomi più frequenti dello stress possono essere legati all’insonnia, difficoltà di concentrazione, anedonia, umore depresso ma non solo. Più saremo in sintonia con noi stessi e con l’ambiente che ci circonda, più saremo spronati a fare bene. E, più staremo bene, più avremo la possibilità di esprimere noi stessi in ambito lavorativo. Chiaramente, tutto è più semplice se sai come farlo, supportato dal giusto professionista.
Crescere è difficile, se non sai come farlo
Personale e professionale sono due concetti spesso indivisibili, che si toccano e si influenzano a vicenda. Crescere significa sviluppare al massimo il proprio potenziale, prendendosi cura di ogni aspetto della propria vita che andrebbe adeguatamente bilanciato. Bene, questa è la teoria. La pratica presenta sicuramente molteplici insidie e difficoltà che, come ho accennato brevemente nell’introduzione, possono evolvere in peggio, diventando disagio psicologico.
Per tutelare la propria salute mentale è necessario è necessario rivolgersi ad un team di specialisti. Come da consuetudine, voglio segnalarti la possibilità di usufruire di un colloquio conoscitivo gratuito con i nostri psicologi, completamente online. Come ottenerlo?
Il primo passo consiste nel compilare un questionario (puoi trovarlo qui). Attenzione: la compilazione è di fondamentale importanza perché ci permetterà di identificare quale, tra i membri del nostro team, sia il più indicato per aiutarti. In secondo luogo, potrai fissare il colloquio conoscitivo. Avrai così la possibilità di confrontarti direttamente con il terapeuta e senza alcun obbligo. Se, e solo se ti sei trovata/o bene, potrai decidere di continuare. Il tutto in completa comodità, perché appunto svolto online.
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Bonus psicologo: come funziona e come ottenerlo
Il bonus psicologo rappresenta una delle iniziative più attese del 2022 nell’ambito della salute mentale. Grazie ad esso sarà possibile ottenere un budget utile a coprire le spese di terapia psicologica. Con la Pandemia e un conflitto mondiale in atto, la crisi economica ha iniziato a farsi sentire e si sa: l’uomo è un essere psico-fisiologico. Gli eventi esterni e le calamità socio-economiche possono perciò riflettersi sulla salute mentale delle persone, peggiorandola.
Nella guida di oggi, che manterremo aggiornata nel tempo inserendo eventuali news, risponderemo alle domande più frequenti sul bonus. Lo faremo prendendo spunto dalle informazioni contenute nel documento originale presente sulla gazzetta ufficiale della repubblica italiana. Dato che la salute mentale, nel Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025 è stata riconosciuta come parte integrante della salute e del benessere, e che:
“come altri aspetti della salute, può essere influenzata da una serie di determinanti socioeconomici che devono essere affrontati attraverso strategie globali di promozione, prevenzione, trattamento e recupero. I determinanti della salute mentale e dei disturbi mentali comprendono non solo caratteristiche individuali come la capacità di gestire pensieri, emozioni, comportamenti e interazioni con gli altri, ma anche fattori sociali, culturali, economici, politici e ambientali”
Promuovere e proteggere il benessere mentale di tutti i cittadini, indipendentemente da fasi di vita e identità, è una forte necessità. E da qui nasce la volontà del ministero della salute e dell’economia stanziare 10 milioni di euro relativi all’anno 2022 per assistere i cittadini. Non tutti però potranno beneficiarne. Come richiedere il bonus? Scopri se sei idoneo!
Come funziona il bonus psicologo 2022?
Se stai leggendo questo articolo, probabilmente sei alla ricerca di risposte. E chi, se non meglio della fonte originale, può risolvere ogni dubbio? Ecco allora alcune informazioni utili per dissipare ogni dubbio.
Chi può richiedere il bonus?
Chiunque ne senta il bisogno, in condizioni di disagio psicologico (ansia, stress, condizioni difficili) con un ISEE non superiore ai 50.000 euro.
Chi sono i professionisti ai quali è possibile rivolgersi?
Professionisti regolarmente iscritti all’albo degli psicologi specializzati in psicoterapia, come i membri che troverai all’interno del nostro team.
Quali saranno gli importi erogabili a persona?
Dipende dall’ISEE. A ISEE più bassi corrisponderanno cifre più alte, e viceversa.
- ISEE inferiore ai 15.000 euro: fino a 50 euro per ogni seduta per un importo massimo di 600 euro;
- ISEE compreso tra i 15.000 e i 30.000 euro: fino a 50 euro per ogni seduta per un massimo di 400 euro;
- ISEE compreso tra i 30.000 e i 50.000 euro: fino a 50 euro per ogni seduta per un massimo di 200 euro.
Come ottenere il bonus psicologo?
Sarà possibile richiedere il bonus in modalità completamente telematica mediante l’INPS, autenticandosi con l’identità digitale SPID, la Carta di Identità Elettronica (CIE) o la Carta Nazionale dei Servizi (CNS). In seguito lo stesso INPS rimborserà le prestazioni erogate dai professionisti indicati per le quali sia stata emessa regolarmente fattura entro il mese successivo a quello di emissione della stessa.
Bonus e terapia online: è possibile?
La terapia online, benché utilizzata con successo a partire dagli anni 90, ha visto un aumento esponenziale negli ultimi due anni a causa della pandemia. In situazioni specifiche, come quelle dell’expat italiano all’estero, poter usufruire di un servizio simile è stato vitale. Numerosi studi supportano l’efficacia di un approccio online, che non ha nulla da invidiare a una terapia de visu.
Tenuto conto di questo, è quindi possibile utilizzare il proprio bonus psicologo contattando portali che come HelpMeOut sono in grado di metterti in contatto con lo psicologo giusto per te ovunque ti trovi. Come ben saprai, il nostro team è composto da professionisti del settore, che aiutano ogni giorno persone in difficoltà. Offriamo il primo colloquio in modo gratuito e un servizio di alta qualità a prezzi calmierati.
Molto semplice: in primis troverai un questionario, il quale ti aiuterà ad esprimere ciò che senti. In secondo luogo, potrai intraprendere il primo colloquio gratuito conoscitivo online, con uno dei membri del team, selezionato in base alle tue esigenze. In questo modo, avrai la possibilità di conoscere il terapeuta di persona, e di capire se fa per te. Prenota il tuo primo colloquio gratuito con noi. Se c’è una soluzione (a portata di click), perché tenersi il problema?
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Il metodo scientifico per raggiungere qualunque obiettivo
Esiste un metodo scientifico utile a raggiungere qualunque obiettivo. Un metodo ormai famoso, che è stato citato ed applicato in differenti realtà: dalla psicologia alla finanza, al mondo dello sport di alto livello o in ambiti di formazione aziendale. E chissà, probabilmente ne hai già sentito parlare, forse no. Oggi vorrei descrivertelo minuziosamente, per darti la possibilità di applicarlo sin da subito.
Certo, sin da subito si fa per dire. I motori di ricerca come Google pullulano di articoli e guide che offrono soluzioni semplici a problemi complessi. Raggiungere l’obiettivo che ti sei prefissata/o non è un affare banale. Ottenere risultati, che si tratti di benessere fisico, mentale o di prestazione è sempre difficile. Se tuttavia arriverai alla fine di questa guida, avrai un’arma in più da poter utilizzare.
Come sempre, ti ricordo che le informazioni citate nelle nostre guide hanno carattere puramente informativo e non possono in alcun modo sostituire il parere di un esperto. Se ritieni di aver bisogno di un supporto qualificato, puoi consultare lo spazio dedicato. Concentriamoci ora sull’argomento di oggi: come affrontare, nel modo corretto, la scalata verso il raggiungimento di mete per noi importanti?
Come raggiungere qualunque obiettivo
Sembra una semplificazione forzata, ma non la è. Il metodo che sto per descriverti si articola in cinque punti, cinque caratteristiche che se affrontate con consapevolezza rivelano una profonda complessità. Devi sapere infatti che un obiettivo degno di tal nome dovrà per forza di cose soddisfare tali caratteristiche. Se agisci senza rispettarle, aumenterai la probabilità di fallimento. Se, al contrario, riuscirai ad impostare una meta con tali requisiti, aumenterai in modo sostanziale le probabilità di raggiungerla.
Specifico
Partiresti mai per un viaggio, senza sapere dove stai andato e quanto distante sarà la meta? L’approssimazione è il nemico giurato del successo. Per questo, dovrai configurare un obiettivo specifico, che sei in grado di visualizzare con precisione nella tua mente. Per intenderci, affermare di voler dimagrire non è abbastanza specifico. Affermare invece di voler perdere cinque kg in tre mesi è decisamente più specifico e chiaro, e quindi maggiormente raggiungibile.
Misurabile
Misurare è fondamentale, perché permette di comprendere se e come la nostra strategia ci stia avvicinando al risultato finale. Riprendendo di nuovo l’esempio del dimagrimento, sarà necessario misurare i propri progressi nel tempo. Se dopo due mesi non avrò perso mezzo kg, difficilmente sarà possibile perderne cinque nei due mesi successivi. Lo stesso vale per obiettivi differenti (apprendimento, prestazione, etc…).
Raggiungibile
Il tasto dolente, che molto spesso non viene preso in considerazione. Un obiettivo considerato raggiungibile non sarà né troppo difficile, né troppo semplice, ma appunto sfidante. Per avere la sensazione che un obiettivo sia realmente sfidante per noi, dovremo fermarci e prendere coscienza delle competenze utili allo scopo. Purtroppo molte persone intraprendono una strada senza possedere le competenze necessarie richieste, ma se ne accorgono solo in un secondo momento. Così, mete considerate raggiungibili con quel “basta un po’ di impegno” si rivelano crepacci senza scampo, dai quali è impossibile uscire. Non commettere questo errore, verifica sempre con la massima attenzione.
Rilevante e realistico
Immagina di essere costretto ad assistere, tutti i giorni, ad una lezione di una materia per te inutile. Ammesso che tu lo faccia controvoglia, imparerai pochissimo (se non nulla) e inizierai ad associare a quella materia emozioni negative. Un obiettivo deve per forza di cose essere rilevante per te, altrimenti non avrai mai la giusta dose di motivazione per perseguirlo nel tempo. Allo stesso modo dovrà essere realistico e plausibile in base alla situazione. Se hai giocato per tutta la vita a tennis, difficilmente potrai diventare un giocatore della nazionale italiana di calcio.
Stabilito nel tempo
Inserire una tempistica ti aiuterà senz’altro. Non sottovalutare l’importanza di una strategia che tenga conto anche di vincoli temporali, perché senza di essi ti perderai molto più facilmente. Stabilire un calendario, inoltre, sarà facilitante nel rendere misurabile il cammino verso la tua meta.
Se dovessimo tradurre questi ultimi cinque punti in inglese, otterremmo S (specific) M (Measurable) A ( Achievable) R (Realistic) T (Time-Bound). Il metodo viene appunto denominato SMART. E questa è la teoria. Sembra facile, vero? Certo, sembra… ma poi la realtà dei fatti stupisce sempre. Prendiamo il caso dei famosissimi “buoni proposti” dell’anno nuovo. Perché falliscono?
Obiettivi nella vita di tutti i giorni
Il metodo SMART può sicuramente aiutarti a raggiungere qualunque obiettivo tu abbia in mente. Ciò che devi tenere bene a mente, però, è che sarai tu a fare la differenza, non il modello o le teorie applicate. Saper essere motivati fino alla fine è una scienza, e non figlia di improvvisazione. E no, nel caso te lo stia chiedendo, no… le citazioni motivazionali NON BASTANO. A volte le persone non dispongono delle risorse personali necessarie per ottenere ciò che vorrebbero.
Un calo motivazionale al lavoro, in contesti sociali o più in generale nella vita quotidiana non va sottovalutato. In questo, appare senz’altro utile il supporto di un terapista. Non tutti sanno infatti che lo psicologo è utile anche a chi, in assenza di patologia, voglia migliorare se stessa/o. La crescita personale parte dalla consapevolezza che si possa sempre migliorare, se affiancati dalla giusta figura. E quando si parla di obiettivi e motivazione, chi meglio di un professionista della mente può aiutarti?
Come ricordato nella guida su come mantenere accesa la flebile fiamma della motivazione, non è sempre possibile essere motivati e pronti a dare il massimo. Ecco perché anche gli obiettivi pianificati con minuziosità e impegno hanno comunque un margine di errore. Disporre di un supporto professionale altamente qualificato, anche per pochi incontri, ti fornirà un punto di vista esperto importante dal quale partire per ottenere risultati superiori. Per essere pronto ad affrontare i momenti più delicati che, se gestiti con metodo e intelligenza, verranno trasformati da ostacoli a fonti dalle quali trarre ispirazione.
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Cosa fare quando la motivazione cala?
Cosa fare quando la motivazione cala sotto i piedi? Quando, nonostante un grande impegno profuso non riesci a sentirti in linea con il raggiungimento dei tuoi obiettivi?
La motivazione è un concetto trasversale, ricorrente nell’esistenza delle persone in ambiti differenti. Nello sport, a scuola, durante gare di qualunque tipo o nella vita lavorativa degli individui. Tutto ciò che è accessibile affascina l’essere umano, animale sociale per eccellenza e portato alla condivisione. E la motivazione, così come tanti altri costrutti psicologici, è tremendamente accessibile.
Chiunque potrebbe descriversi come motivato o al contrario demotivato per una serie di motivi personali e/o oggettivi. In quanti, però, saprebbero darne una definizione corretta? La comprensione dei fenomeni è la chiave per sapere come comportarsi per prevenire situazioni difficili. Per esempio, uno terapista professionista possiede una conoscenza profonda della motivazione, e sa come aiutare le persone in difficoltà a ritrovarla.
Tali competenze sono dovute a pratica e teoria apprese sul campo in anni e anni di esperienza. Nella guida di oggi troverai informazioni che ti saranno sicuramente utili a fare il primo passo verso una conoscenza consapevole di questo costrutto che ha da sempre affascinato, ed è altrettanto stato banalizzato da non addetti ai lavori. Scopriamo di più insieme, partendo da un’esperienza comune: il lunedì mattina.
Storie svogliate del lunedì mattina
Il lunedì mi alzo, e non ho voglia. Non di qualcosa in particolare, non ho voglia e… basta. Di andare al lavoro, di incontrare capo e colleghi con i quali litigo spesso. Se potessi, rimarrei a casa a guardare serie Tv tutto il giorno. Ho letto alcuni articoli su internet su cosa fare quanto si perde la motivazione, e ho persino applicato i consigli di quei presunti esperti. Tutto inutile. E alla fine mi è pure passata la voglia di leggere…
La motivazione è una fiamma che si estingue facilmente, se non sai come tenerla accesa. Il problema appunto sollevato in precedenza è che le persone non hanno idea di come essa si alimenti. Prima di dare “consigli”, è necessario sapere che un calo motivazionale potrebbe essere interpretato come sintomo di disagio psicologico. In casi di abulia (mancanza di volontà nel compiere un’azione) potrebbe essere presente una potenziale depressione dovuta a molteplici cause.
Devi sapere poi che la scienza psicologica è costellata di teorie su come gestire la motivazione.
Una delle più famose consiste nel distinguere tra:
- Motivazione intrinseca (la persona è spinta a mettere in pratica determinati comportamenti per una spinta che viene “da dentro”)
- Motivazione estrinseca (la persona è spinta a mettere in patica determinati comportamenti per una spinta che viene “da fuori”).
Un esempio di motivazione intrinseca potrebbe riguardare un giovane che, percependo un salario minimo, si impegna con tutto se stesso per apprendere il lavoro dei suoi sogni. Al contrario, un classico esempio di motivazione estrinseca riguarda il dipendente che accetta la permanenza in un contesto lavorativo insopportabile per lo stipendio.
Pare chiaro che in ambito lavorativo avere dei collaboratori motivati in maniera intrinseca porti a risultati superiori sia in termini di loro soddisfazione lavorativa, che di obiettivi di business.
Un’altra molto citata teoria motivazionale riguarda i bisogni dell’essere umano. Secondo McClelland saremmo motivati nell’agire da tre bisogni principali:
- Successo (bisogno di ottenere risultati positivi nella vita e nel lavoro);
- Potere (influenza sugli altri, intenso desiderio di ruoli di Leadership);
- Affiliazione (attribuire molta importanza all’ambiente sociale).
In breve, ognuno di noi sarebbe spinto nell’agire per ottenere
Cosa fare (per davvero) quando la motivazione cala?
Mettitelo bene in testa: non sottovalutare MAI i cali motivazionali. Per parlare di tale costrutto non basta aver letto un libro divulgativo che ne parla, o aver seguito un corso online. Perché appunto, si tratta di un fenomeno accessibile, ma di certo non banale. Il rischio di fare più male che bene affidandosi ad amici e improvvisati è elevato. Noi tutti mangiamo, navighiamo sui social e proviamo emozioni e sentimenti. Attenzione però: così come la singola azione del mangiare non ci porterà ad essere nutrizionisti, il semplice provare emozioni non farà di noi degli psicologi.
Ecco allora alcune risposte a domande apparentemente semplici, ma che se adeguatamente analizzate mostrano una concreta complessità:
Cosa si intende con “motivazione”?
Se dovessi dare una definizione semplice ma precisa del termine, direi che la motivazione è quel motore primario che spinge le persone a mettere in atto determinati comportamenti. La difficoltà principale è che quando le persone mettono in atto quel comportamento, non sono pienamente consce del “perché” lo stiano facendo. Intraprendere un percorso con un terapista esperto può sicuramente aiutare.
Come si fa a trovare la voglia di fare?
Sapersi auto-motivare è una scienza, non figlia di improvvisazione. Difficilmente basterebbe leggere due righe o una citazione per sentirsi meglio, perché appunto dietro ad una mancanza di voglia di fare potrebbero nascondersi ben più gravi affari.
Cosa fare quando manca la motivazione
Quando cadi e ti fratturi un polso hai due opzioni: recarti in ospedale e farti assistere da un medico esperto oppure attendere che le ossa si mettano a posto da sole. Nel secondo caso, avrai una maggior probabilità di incorrere in ricadute e di aggravare la tua situazione. Allo stesso modo, quando senti di “non averne abbastanza puoi intraprendere un percorso di terapia online o dal vivo, oppure aspettare che la motivazione ritorni da sola. Indovina quale delle due opzioni è più proficua?
Come hai potuto comprendere, sarebbe davvero difficile fornire consigli opportuni a chi, disperato, si chiede cosa fare quando la motivazione cala senza conoscerne la storia. Una delle abilità che può favorire la rinascita di quella voglia di fare che tiene svegli la notte potrebbe è senz’altro il goal setting. La capacità di porsi obiettivi in modo semplice e chiaro, spezzettando un macro-goal inizialmente impossibile, in tante piccole mete raggiungibili. Approfondiremo l’argomento in una delle prossime guide. Nel mentre, ricorda: se hai bisogno di un supporto qualificato, noi siamo qui per aiutarti.
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Perché sapersi arrabbiare è importante?
La rabbia è un’emozione diffusa e fondamentale per la sopravvivenza e per il benessere, sia in passato che nel contesto moderno. Certo, arrabbiarsi nella gran parte dei casi risulta semplice (anche troppo), e non è difficile perdere il controllo esibendo condotte offensive verbali e fisiche (o entrambe) . Come al solito, l’efficacia sta nel mezzo. Riprendendo la legge di Yerkes Dodson, a performance al meglio sarà l’individuo né troppo rilassato, né troppo stressato. Ed è così anche nel caso della rabbia: la risposta emotiva dev’essere certamente espressa, ma entro determinati limiti.
Secondo le ultime ricerche, arrabbiarsi in continuazione e manifestarlo o al contrario reprimere i propri sentimenti predispone a pericoli per la salute dell’organismo. Ricordandoti che le informazioni che troverai nella guida di oggi, e sul blog di Helpmeout, hanno carattere puramente informativo e non possono sostituire il parere di un professionista della salute, ti esorto a continuare a leggere.
Così come numerosi fenomeni studiati dalle scienze psicologiche (Resilienza, la somatizzazione, e tantissimi altri), anche la rabbia viene spesso banalizzata. Per comprendere appieno il concetto scientifico e i rischi di una mancata abilità di gestione, è necessario partire da molto lontano.
Una storia, mille emozioni
Si potrebbe affermare che il 1972 fu un anno “storico” per molteplici motivi. Il tre febbraio vennero inaugurate le indimenticabili olimpiadi invernali di Sapporo. Il 14 Marzo a Segrate, in provinciali di Milano, venne ritrovato il corpo senza vita di Giangiacomo Feltrinelli, fondatore dell’omonima casa editrice che conosciamo tutt’oggi. Il 7 novembre il controverso Richard Nixon fu rieletto come presidente degli USA per la seconda volta.
Oltre a questi, e a molti altri avvenimenti di importanza sportiva, sociale e politica, il 1972 fu un anno fondamentale per lo sviluppo degli studi sulle emozioni. Paul Ekman intraprese un lungo viaggio verso la Nuova Guinea, per mostrare che gli stati emotivi non fossero determinati dal contesto culturale, provandone il carattere universale. Oggi sappiamo che le emozioni hanno un’origine biologica, e che sono state importantissime tanto per lo sviluppo, quando per il benessere dell’essere umano.
Se i nostri avi sono riusciti a sopravvivere in ambienti difficili, a contatto con specie ostili, è anche grazie a quell’istinto rabbioso, fortemente adattivo. Ma il sapersi arrabbiare è fondamentale anche oggi, nelle relazioni di coppia o amicali. È semplice intravedere tale emozione dietro a comportamenti vendicativi con una causa ben specifica. In altri casi, invece, una situazione difficile genera in noi un disagio psicologico espresso arrabbiandoci con persone che non hanno nulla a che fare con la causa scatenante. A volte, riconoscere cosa si nasconda dietro ad azioni colleriche è più difficile di quanto sembri. Come comportarsi?
Cosa si nasconde dietro la rabbia?
L’arrabbiarsi fa parte dell’esperienza di vita di ogni individuo, e nonostante la matrice universale, ognuno di noi può esprimere la propria rabbia in differenti modi e “prendersela” per altrettanti differenti motivi. Alcune delle azioni che possono provocare rabbia potrebbero essere:
- Davanti al fallimento o al mancato funzionamento di supporti che utilizziamo nella quotidianità (Televisore, smartphone, macchina, etc…);
- In contesti dove le azioni di altri possono determinare un risultato sfavorevole o risvolti negativi (sconfitte in sport di squadra, ritardi dovuti a traffico metropolitano);
- Nel rapporto di coppia, tentativo da parte di uno dei due partner di imporre il proprio volere;
La rabbia nei rapporti di coppia
Nei rapporti amorosi o amicali può accadere che ci si lasci travolgere dalla collera. Se eccessiva, la rabbia può essere un ostacolo insormontabile e sfociare in una crisi di coppia. In casi simili, sarebbe necessario evitare di dileggiare l’altra persona colpendola in punti di discussione sensibili, prediligendo il dialogo costruttivo. Allo stesso modo, però, è altrettanto utile non reprimere i propri sentimenti perché come ben illustrato nel prossimo paragrafo, far finta di niente potrebbe contribuire a sviluppare patologie cardiovascolari.
Cosa succede a chi è sempre arrabbiato?
Come citato in precedenza, uno stato di collera sempre presente può generare conseguenze di disagio tanto psicologico quanto fisico. Kubzansky e colleghi, in uno studio del 2006 hanno evidenziato una forte correlazione tra rabbia, asia e depressione e disturbi cardiovascolari (Coronariopatia). La rabbia quindi, se costantemente provata, aumenterebbe il rischio di infarto. Attenzione però: tali rischi si corrono sia nei casi in cui la rabbia si manifesti, sia che rimanga nascosta. Inoltre, da situazioni simili può originare un forte disagio psicologico, che tende a manifestarsi sotto molteplici forme:
- Difficoltà nelle relazioni sociali;
- Diminuzione dell’autostima percepita;
- Sbalzi d’umore, ansia e depressione.
Prendersi cura di se stessi è fondamentale, e di certo esistono alcuni rimedi e strategie utili a migliorare la situazione prevenendo tali sintomi. Per esempio, nei casi in cui la rabbia sia un’espressione di carichi di stress elevati, l’esercizio fisico costante potrebbe essere una buona idea. Non sempre però la persona, o la coppia, dispone dei mezzi per superare eventuali problemi o disagio. Quale potrebbe essere la miglior strategia per imparare a gestire la rabbia? La risposta, come spesso accade, viene dalla scienza.
Il miglior modo di gestire la rabbia
Sapersi arrabbiare è molto importante, e gestire la rabbia significa saperla esprimere entro determinati limiti senza eliminarla né esasperarla. Il metodo più efficace in tale ambito risulta essere la terapia psicologica. Sarebbe infatti possibile trovare una schiera di studi scientifici molto validi come la pubblicazione di Beck Fernandez e molti altri. Il contatto con un terapeuta rappresenta il primo passo consapevole verso la propria crescita personale. La gestione delle emozioni è un’abilità, che può essere appresa e conseguentemente utilizzata per stare meglio sia con se stessi, che con il proprio contesto sociale.
Se soffri di disagio psicologico dovuto a situazioni di mancato controllo, o se vorresti migliorare il rapporto con te stessa/o, apprendendo strategie utili al tuo benessere fisico e mentale, qui a Helpmeout potrai usufruire di un colloquio conoscitivo gratuito completamente online. Non dovrai fare altro che compilare il questionario, il quale esito ci permetterà di metterti in contatto con lo psicologo del nostro team più adatto alle tue esigenze. Non rimanere in balia delle tue emozioni, prenditi cura della tua salute psico-fisica. Life is too short to be unhappy.
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Esercizio fisico e benessere mentale
Esercizio fisico e benessere mentale costituiscono un binomio robusto, ricorrente nelle menti di illustri pensatori, filosofi e scienziati di ogni tempo. Il celebre “mens sana in corpore sano” ne è un esempio appartenente ad epoche passate, che viene utilizzato ancora ai giorni nostri, dopo secoli. Ed è forse nella nostra società che tale detto ha trovato supporto: negli ultimi anni sono state portate alla luce prove scientifiche di come l’allenamento possa favorire la salute psicologica
Ciò che risulta spesso difficile da comprendere è il nesso che unisce fisico e mente nella stessa figura: l’essere umano. In questa guida, con l’ausilio delle migliori ricerche pubblicate su riviste internazionali di scienze psicologiche, andremo ad approfondire di un argomento molto famoso sul web, ma quasi sempre frainteso.
Ti ricordo come al solito che le informazioni pubblicate sul blog di Helpmeout hanno carattere informativo, e non possono sostituire in alcun modo il parere di un professionista della salute mentale. Se ritieni di aver bisogno di un aiuto, puoi trovarlo qui. Compilando il questionario, ti metteremo in contatto con il terapista più adatto alle tue esigenze, con un primo colloquio online gratuito.
Torniamo all’argomento di oggi, con una domanda: l’attività sportiva può essere percepita come un utile strumento, se impiegato col fine di aumentare il benessere psicologico?
In che modo lo sport favorisce il benessere psicologico?
Nel corso della storia, il dualismo corpo-mente ha da sempre ricoperto un ruolo rilevante e senz’altro controverso. Secondo i filosofi greci, l’uomo avrebbe dovuto aspirare a due grandi obiettivi: la sanità del corpo e dell’anima. Tali nozioni avrebbero spinto gli antichi pensatori all’eccellenza corporea ed intellettuale, che oggi chiamiamo benessere psicofisico, fino ad approdare al detto latino prima citato.
Mens sana in corpore sano è una grande verità, ma deve essere letta con consapevolezza e contestualizzata. L’utilizzo moderno della locuzione, infatti, si discosta leggermente dal significato primario. Oggi, grazie alle numerose ricerche scientifiche esistenti, è possibile parlare di benessere psico-fisico inteso come uno stato di salute a tutto tondo. Il concetto viene citato in due ambiti principali:
- Prevenzione del disagio psicologico e gestione dei sintomi;
- Miglioramento della performance cognitiva (per esempio nel lavoro, nello studio, etc…).
Nella pubblicazione di Paluska e Schwenk, i due autori sottolineano il fatto che l’attività fisica, sia essa aerobica che anaerobica, possa giocare un ruolo importante nella gestione di alcuni sintomi di disagio psicologico, come per esempio l’ansia e gli attacchi di panico. Un altro studio interessante evidenzierebbe il fatto che alcuni protocolli di allenamento specifici possano essere utilizzati sia come prevenzione, ma anche inseriti in programmi riabilitativi come supporto alle classiche terapie.
Approfondendo invece il binomio sport-performance cognitiva scolastica, è utile citare la ricerca Physical activity and mental performance in preadolescents: Effects of acute exercise on free-recall memory pubblicata dalla professoressa Caterina Pesce e colleghi nel 2008. I risultati mostrerebbero di come lo sport potrebbe migliorare le prestazioni mnemoniche degli studenti.
I benefici dell’attività fisica sulla mente
I benefici dell’attività fisica sulla mente potrebbero essere:
- Miglioramento del tono dell’umore;
- Prevenzione e gestione di sintomi ansiosi;
- Prevenzione di sintomi depressivi;
- Riduzione dello stress;
- Promozione delle capacità di interazione sociale;
- Miglioramento della performance cognitiva nel lavoro, a scuola o in università.
Soffermiamoci su quest’ultimo punto, citando un’ulteriore ricerca. Castelli e colleghi, con una ricerca pubblicata su Journal of Sport and Exercise Psychology, sostengono che il benessere fisico sia altamente correlato con i risultati scolastici. E, come avrai ben compreso, potrei andare avanti per ore a citare altri studi con la stessa conclusione. Tali risultati, però, se da un lato mettono in luce gli effetti benefici dell’attività fisica, dall’altra potrebbero essere facilmente fraintesi oscurando l’importanza della parte psicologica.
Secondo il modello bio-psico-sociale, essere in salute significa scoprire ed allenare tre variabili fondamentali. Fisico, mente e relazioni sociali si influenzano a vicenda, e non devono intendersi come compartimenti stagni. Quindi, per stare bene e raggiungere il massimo della produttività sarà necessario allenarsi, ma anche prendersi cura della propria salute mentale a contatto con professionisti e coltivare la socialità in maniera attiva. L’attività fisica, quindi, contribuirà al benessere psicologico se integrata in uno stile di vita specifico. Quest’ultimo ragionamento ci riporta, di nuovo, al nostro detto latino: mens sana in corpore sano, certo, ma vale anche il contrario.
Mens sana in corpore sano e… viceversa
Alla luce della scienza, anziché affermare “mens sana e in corpore sano” sarebbe più corretto affermare “mens sana in corpore sano e viceversa”. Riprendendo il concetto di essere umano come entità psico-fisica, sarebbe corretto percepire esercizio fisico e benessere mentale come due punti sui quali intervenire in egual misura.
Per godere appieno della vita, è necessario prendersi cura di se stessi promuovendo ogni aspetto dello “star bene”. E certo, qui risulta tristemente semplice per molti scontrarsi con lo stigma nutrito nei confronti dei terapeuti. Il terapeuta rappresenta una soluzione concreta nei casi di disagio psicologico di qualunque entità, ma non solo.
Infatti, affermare che lo psicologo lavori esclusivamente con la patologia è una enorme bugia. Un esempio eclatante è l’impiego di professionisti della salute mentale nello sport e nelle realtà aziendali per il miglioramento della prestazione cognitiva e la gestione dello stress. Tali figure, inserite da sempre in tali contesti sono in grado di fornire competenze e skills anche a persone che, in assenza di disagio, vorrebbero migliorare la loro produttività e le loro performance.
Vorresti essere in salute, felice e pronto a gestire eventuali stati di umore penalizzanti (Ansia, depressione, bassa autostima, etc…)? Ecco la soluzione: sarà tanto necessario praticare attività fisica, quanto intraprendere un percorso di crescita personale con professionisti legalmente riconosciuti e adeguatamente formati sotto il profilo teorico/pratico.
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Guerra post covid: come affrontare la stanchezza emotiva
Fino a pochi mesi fa l’intera popolazione mondiale è stata messa a dura prova dal covid, che si è imposto come un vero e proprio game changer. Abbiamo dovuto adattarci ad una nuova normalità, costellata da cambiamenti comportamentali, economici e di abitudini. Quella del virus è una paura restia ad abbandonare la memoria collettiva, un forte timore esasperante e “profondo” in grado di condizionare la salute psicologica di chiunque.
E dopo un brevissimo periodo di assestamento, dove la condizione pandemica sembrava essere divenuta maggiormente gestibile, ecco la guerra. Un conflitto vicino tanto culturalmente quanto in termini di distanza fisica, dal quale è subito scaturita una forte pressione economica legata all’aumento del prezzo delle materie prime. Nel contesto odierno non è difficile, quindi, sentirsi letteralmente schiacciati dalle calamità naturali e socio-economiche citate.
Può capitare quindi che, percependo se stessi come in balia degli eventi, da forti periodi di stress come questo si generi una “stanchezza emotiva” che si esprime mediante sintomi sia fisici che psicologici. Fermo restando che la guida di oggi ha carattere puramente informativo, e non può in alcun modo sostituire un parere professionale, vediamo insieme di cosa si tratta.
Stress emotivo ed emozioni
Ogni evento, sia grande che piccolo, può essere percepito come stressante. Lutti, cambiamenti profondi nelle relazioni di tutti i giorni o con la persona amata e trasferimenti obbligati sono fenomeni che se non gestiti a dovere possono degenerare in disagio psicologico, e successivamente in psicopatologia.
Tristemente famosi sono i casi degli expat italiani all’estero che a causa di numerose difficoltà riscontrate in ambienti nuovi e sconosciuti testimoniano ansia, ritiro sociale e sintomatologie depressive. Anche la convivenza con colleghi/altri individui in ambienti tossici può essere considerato come emotivamente stancante e pericoloso. Numerose ricerche supportano l’ipotesi che ambienti di lavoro esageratamente stressanti portino le persone ad un decremento della performance cognitiva, e quindi della produttività in azienda.
Sarebbe quindi possibile definire stressor qualunque evento dal quale scaturiscano disfunzioni di natura psicofisica (somatizzazione) e/o sociale (Difficoltà relazionali e ritiro sociale). Come spesso ribadito in guide precedenti, lo stress non è di per sé negativo. Al contrario, essere “stressati” prima di date importanti permette di preservare una performance qualitativamente elevate. Quando tuttavia i carichi di stress sono esagerati, o protratti nel tempo, sopraggiungono difficoltà psicofisiche.
Sintomi della stanchezza emotiva
In casi simili, l’individuo si sentirebbe minacciato e allo stesso tempo frustrato perché incapace di affrontare tale minaccia. I sintomi più diffusi potrebbero essere:
- Fatica nell’eseguire semplici compiti fisici che prima era possibile svolgere con facilità (spostarsi, fare esercizio fisico, pulire gli spazi di casa, etc…);
- Decremento delle prestazioni cognitive (diminuzione dell’attenzione, difficoltà di memoria, lentezza di ragionamento);
- Senso di vuoto, rassegnazione perché gli eventi sono percepiti più grandi di noi (e quindi ingestibili);
- Ansia, disperazione;
- Problemi somatici di varia natura (mal di testa,
- Sonnolenza in orari diurni o durante attività quotidiane;
- Apatia;
- Incertezza per il proprio futuro.
Come si cura la stanchezza emotiva?
Così come ogni altra difficoltà riguardante la gestione delle emozioni (e quindi alla salute psicologica), per curare la stanchezza emotiva è necessario rivolgersi ad un professionista del settore. Essere accompagnati in un percorso di terapia significa apprendere strategie fondamentali per poter recuperare energie psichiche e combattere quei sintomi di spossatezza psico-fisica provocati da un contesto così difficile.
La salute mentale deve essere percepita come al pari di quella fisica, e ognuno dovrebbe prendersene cura. Noi di Helpmeout abbiamo sviluppato un servizio di terapia online completa, che tenga conto delle caratteristiche uniche delle persone che decidono di mettersi nelle nostre mani. E non è tutto: il primo colloquio online è totalmente gratuito, ideale per chi pensa di aver bisogno di un supporto qualificato, ma per via di alcune difficoltà (barriere linguistiche, posizione geografica, incertezze di altra natura) non può recarsi fisicamente dallo psicologo.
Chiedere aiuto è sinonimo di forza, non di debolezza. Affidati a noi: compila il questionario. Ti metteremo in contatto con uno dei membri del nostro team più adatto alle tue esigenze. Helpmeout: life is too short to be unhappy.
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Dismorfismo corporeo: curarlo con la terapia psicologica
Quando si parla di dismorfismo corporeo, la mente del pensatore si rifugia in un immaginario collettivo costellato di estremi. Contribuiscono a tale risultato i numerosi articoli su Google che descrivono i dismorfismi come la percezione di parti del corpo come deformi o ripugnanti. Il fenomeno, tuttavia, presenta numerose sfaccettature difficilmente riassumibili in poche righe, e non si limita esclusivamente al percepire deformità.
Con le nostre guide sul mondo della salute mentale noi di Helpmeout vogliamo informare le persone rendendo accessibili a chiunque (per quanto possibile) tematiche psicologiche complesse. Il dismorfismo corporeo può rappresentare certamente una fonte di disagio importante, ma ad alcune condizioni specifiche delle quali i terapisti professionisti sono a conoscenza. Vorresti capirci di più? Allora ti consiglio di continuare a leggere. Prima, però, un avvertimento.
Come al solito, ti esorto ad evitare SEMPRE l’autodiagnosi. Certo, nella seguenti righe troverai informazioni rilevanti e link alle ricerche citate, pubblicate su riviste scientifiche di scienze psicologiche. Tali informazioni potranno esserti utili a comprendere in generale “come funziona”, ma non potrebbero in nessun modo sostituire il parere professionale.
Un terapista legalmente riconosciuto ha completato un iter formativo di anni, maturando conoscenze teoriche e pratiche sul campo (al contrario di chi ha studiato su Google). In ultimo, per quanto possa apparire scontato, è lecito sottolineare che ogni persona è diversa. Per questo, ogni caso di disagio psicologico presenta sfumature differenti, che se sottovalutate o gestite con improvvisati rischiano solo di peggiorare. Veniamo 0ra all’argomento di oggi: quali sono le caratteristiche di un disturbo da dismorfismo corporeo?
Cos’è il dismorfismo corporeo?
In alcuni individui la perdita dei capelli appare come un vero e proprio danno, dal quale è possibile che si originino situazioni difficili (mood depresso, decremento dell’autostima). La ricerca di Neda e colleghi, pubblicata nel 2014, supporta fortemente tale ipotesi. Secondo lo studioso, chi sperimenta una perdita di capelli potrebbe sviluppare un vero e proprio disagio psicologico che contribuirebbe a limitarne le interazioni sociali.
Ora, avere il timore di perdere i capelli o semplicemente curare il proprio cuoio capelluto con interesse non significa che una persona soffra di psicopatologia. Secondo il DMS-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), infatti, si potrebbe parlare di disturbo solo in presenza di una preoccupazione tale da non permettere all’individuo il normale svolgimento della vita quotidiana. Quali sarebbero i sintomi chiave, scientificamente riconosciuti?
Sintomi e caratteristiche diagnostiche del dismorfismo
La sintomatologia del dismorfismo corporeo potrebbero essere:
- Percezione del proprio aspetto come anormale, brutto o deforme;
- Eccessiva preoccupazione causata da tale percezione distorta;
- Sentimenti di vergogna o paura nel mostrare la parte del corpo interessata in pubblico;
- Bassi livelli di autostima.
Il disturbo da dismorfismo corporeo porterebbe la persona a controllare compulsivamente le presunte imperfezioni, che tuttavia gli altri individui non percepiscono come tali. A causa del sentimento di vergogna ed eccessiva preoccupazione, alcuni individui ricorrerebbero a trattamenti estetici (dermatologia, chirurgia estetica) che però secondo Katharine Phillips (Direttrice dei programmi “Body Dysmorphic Disorder” e “Body Image” al Butler Hospital e professoressa alla Psychiatry and Human Behavior at Brown Medical School a Providence a Rhode Island) non risolverebbero il problema.
Questo accade perché la causa di quel vedersi brutti o con difetti fisici anormali non sta nella parte del corpo in sé, bensì nella percezione personale di chi guarda verso lo specchio. In casi gravi, è possibile che tali disturbi generino pensieri suicidari. Ed è la stessa Philips precedentemente citata ad esplorare il medesimo aspetto in una pubblicazione del 2007, sostenendo che nelle persone con disturbo di dismorfismo corporeo, circa l’80% avrebbe almeno una volta pensato al suicidio, e circa il 25% lo avrebbe tentato.
Ad un disturbo da dismorfismo sono associati ansia, bassa estroversione, isolamento sociale e difficoltà emotivo-relazionali. Ciò che prima era semplice, viene percepito come difficile a causa di quel difetto ritenuto inaccettabile. Benché sia possibile che vengano ritenute dismorfiche una o più parti del corpo, nel DSM-5 è possibile trovare un particolare riferimento al dismorfismo muscolare.
In questa specifica tipologia di dismorfismo, che colpirebbe prevalentemente gli individui di sesso maschile, l’eccessiva preoccupazione riguarda la forma fisica. Il non ritenersi abbastanza muscolosi, o in forma. A costo di sembrare ripetitivo e noioso, aggiungo ex novo che curare il proprio aspetto fisico e allenarsi NON è da intendere come sinonimo di psicopatologia (prima di giungere a qualunque conclusione, consulta un esperto).
Quali potrebbero essere le cause del dismorfismo?
Chi cura il dismorfismo?
Come avrai certamente compreso, sia a causa delle informazioni qualitativamente rilevanti negli scorsi paragrafi, che dal titolo tendente allo spoiler, è possibile prendersi cura del dismorfismo attraverso la terapia psicologica.
É la prima volta che entri in contatto con noi? Allora lascia che ti spieghi come ottenere un colloquio online completamente gratuito. Per prima cosa, sarà necessario compilare un breve questionario dove potrai raccontarci la tua situazione, e le difficoltà che stai vivendo. Grazie a queste preziose informazioni, saremo in grado di consigliarti il terapeuta più adatto a risolvere le tue difficoltà.
Avrà così luogo il primo colloquio online, dove potrai renderti conto personalmente di quanto uno psicologo possa esserti utile. In seguito, avrai la completa liberta di decidere se e come proseguire. Non esiste disagio psicologico di serie A o di serie B. Se hai bisogno di una mano, grande o piccola che sia, contattaci: ecco il link al questionario. Life is too short to be unhappy.

Cosa significa (davvero) somatizzare?
Il disagio psicologico è in grado di assumere molteplici forme, spesso intangibili ai cinque sensi. In altri casi, invece, quel qualcosa che dicono sia “solo nella tua testa” assume le tangibili sembianze del dolore corporeo. Hanno così origine una serie di problematiche fisiche e comportamentali in assenza di cause organiche conclamate. La somatizzazione, tuttavia, va ben oltre un banale mal di testa che non passa dopo aver assunto farmaci contro sintomi di natura apparentemente corporea.
Nella guida precedente abbiamo approfondito il disturbo da sintomi somatici, prima riconducibile ai disturbi somatoformi. Oggi, invece, approfondiremo il fenomeno della somatizzazione relativo all’ansia e allo stress, cercando risposte sulle migliori riviste scientifiche internazionali. Come spesso accade alcuni termini psicologici vengono estrapolati dal contesto originale, perdendo il loro reale valore. Un esempio classico è l’ormai famosissima resilienza, tanto banalizzata sul web.
Eppure, come sostenuto da numerosi studi scientifici, competenze come la resilienza potrebbero, in determinati contesti, fare la differenza. Il caso da noi presentato prende in considerazione l’expat italiano all’estero. Per un espatriato, coltivare la resilienza significa saper gestire il disagio psicologico sia in ottica preventiva che attiva. La capacità di piegarsi ma non spezzarsi, così abusata sul web, assume un ruolo importantissimo se adeguatamente contestualizzata.
Allo stesso modo, la somatizzazione del disagio psicologico può contribuire a sviluppare dolore fisico che, in alcuni casi, risulta invalidante e non permette di vivere appieno la propria vita. Partiamo da qui, dal significato primo del concetto: cos’è la somatizzazione?
Cosa vuol dire esattamente somatizzare?
Capita sovente, dinanzi a qualunque cosa sia per noi importante. Un esame orale che risulta impossibile da passare, la vicinanza di una persona tremendamente attraente, o nell’avvicendarsi ad una performance sportiva o sessuale. Ansia e stress possono essere somatizzate in differenti modalità, che coinvolgono una o più parti del corpo. Il concetto alla base risulta di semplice comprensione: un disagio psicologico di qualunque entità, che non venga espresso e gestito a contatto con un terapista professionista, è potenzialmente rilevate.
Una delle espressioni più famose che sicuramente avrai già sentito – e forse anche pronunciato – consiste nel definire la somatizzazione come “quel nodo alla gola” che sfocia in una sensazione di costrizione. La percezione di essere intrappolati, senza comprendere le cause scatenanti. Altri fenomeni potrebbero riguardare lo stomaco (bruciori intensi, difficoltà di digestione, reflusso gastrico) o l’intestino (ulcere, fastidi intestinali generici).
Un forte disagio psicologico, inoltre, potrebbe portare ad un’importante alterazione dell’equilibrio della flora intestinale, e allo sviluppo di vere e proprie condizioni mediche come L’IBS (Irritable bowel syndrome o Sindrome dell’intestino irritabile). I sintomi di tale condizione clinica potrebbero essere:
- diarrea;
- meteorismo
- gonfiori;
- lancinanti crampi all’addome.
Ansia e stress contribuirebbero ad aggravare tale sintomatologia, tanto che secondo fonti autorevoli il trattamento della sindrome dell’intestino irritabile dovrebbe prevedere sia una parte fisica che psico-fisiologica. Oltre a questi, la somatizzazione di una difficoltà psicologica può esprimersi anche in modi differenti, tra i quali:
- Stanchezza cronica: forte percezione di stanchezza psicofisica inusuale che può sopraggiungere anche dopo uno sforzo di bassa intensità, per il quale solitamente la persona non si sentirebbe affaticata;
- Dolore cronico: senso di dolore persistente, che i normali analgesici e anti-infiammatori non riescono a placare.
Il caso della lombalgia è un esempio concreto di come il dolore cronico dovuto a cause psicologiche possa non solo nuocere all’individuo, ma bensì all’intera società. Scopriamo insieme in che modo.
Somatizzare ansia e stress: il caso della lombalgia
La lombalgia, comunemente indicata come Low Back Pain, viene indicata in letteratura scientifica come causa potenziale di disabilità e decremento della performance lavorativa molto frequente (si stima che a soffrirne siano 8 adulti su dieci). Secondo alcuni studi sarebbe inoltre la seconda causa di disabilità nell’età adulta in Europa.
Benché la causa di insorgenza sia multifattoriale, le difficoltà psicologiche (ansia, stress e depressione) sono associate allo sviluppo del dolore lombare. Infatti, un accumulo di stress, in mancanza delle abilità per gestirlo, potrebbe essere somatizzato e sfociare nella lombalgia.
Il low back pain può essere quindi definito come un dolore cronico alla zona lombo-sacrale, che incide pesantemente sui costi della società. Secondo William Thomas Crow e David Willis, negli stati uniti tale patologia avrebbe un impatto economico di $100 billioni all’anno. Essendo potenzialmente invalidante, il low back pain contribuirebbe all’assenteismo dal lavoro, e alla sindrome del burnout.
Nelle situazioni nelle quali siano state escluse a priori cause organiche, come si curano i sintomi somatici? Esiste una terapia psicologica più indicata di altre? La verità, come sempre, sta nella scienza.
Come si cura la somatizzazione?
Sebbene da un punto di vista teorico sia lecito separare disagio fisico e psicologico, nella pratica dell’essere umano risulterebbe impossibile. Una ricaduta fisica può generare difficoltà comportamentali, di umore, o psicopatologiche. Viceversa, una ricaduta mentale può esprimersi attraverso sintomi psicosomatici. Come hai potuto comprendere dagli scorsi paragrafi, ansia, stress e depressione possono sfociare in problematiche fisiche.
Corpo e mente si influenzano a vicenda. Avendo ben presente tali concetti, in primis sarebbe consigliato agire in ottica preventiva. Intraprendere un percorso con un professionista della salute mentale significa apprendere quelle competenze in grado di aiutarti nel momento del bisogno. Se il problema è la somatizzazione di ansia e stress in eccesso, una buona soluzione può essere la terapia psicologica.
Nei casi nei quali, dinanzi a sintomi fisici, siano state escluse cause di carattere organico mediante esami generici e specifici, differenti modelli di psicoterapia hanno mostrato effetti benefici nella cura della somatizzazione. Come ricordato in precedenza, la terapia cognitivo-comportamentale ha dimostrato una certa efficacia nel curare simili disturbi, poiché andrebbe a modificare le relazioni tra la causa scatenante e l’effetto somatico, agendo sugli schemi di pensiero. Anche tecniche di rilassamento psicofisico risulterebbero ottimali per la gestione attiva dei sintomi.
Pensi di aver bisogno di una mano qualificata, ma non sai da dove partire? Possiamo metterti in contatto con il professionista giusto per te. Inoltre, se è la prima volta che entri in contatto con noi, ti garantiremo un primo colloquio online conoscitivo gratuito (ecco qui il link). Non lasciare che il disagio psicologico abbia il sopravvento: prenditi cura di te a tutto tondo, coltiva la salute psico-fisiologica. Helpmeout: life is too short to be unhappy.
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Disturbi somatoformi: cosa sono e come intervenire
Il termine “disturbo somatoforme” nasce dalla commistione tra due concetti, appunto fisico e mentale. Sarebbe possibile definire i sintomi somatoformi come una “tensione interiore” che viene espressa tramite disagi fisico. Le persone che soffrono di tali disturbi tendono, almeno inizialmente, a cercare una spiegazione organica. Dinanzi a dolori specifici o malessere di carattere generale è di certo doveroso svolgere controlli e check-up, recandosi da medici generici e/o specialisti.
Se poi, a capo di tali esami, il medico rassicura il paziente sostenendo l’assenza di problematiche fisiche, la persona potrebbe non sentirsi presa sul serio, andando nuovamente alla ricerca di una spiegazione organica da differenti professionisti. Tali disturbi sono frequenti nella popolazione? Come affrontarli nel migliore dei modi?
Risponderemo ora alle domande che le persone si pongono più spesso sui disturbi somatoformi. Nonostante le informazioni presentate siano di assoluta qualità, anche oggi voglio ricordarti che l’autodiagnosi non è MAI una buona prassi. I contenuti che puoi leggere sul nostro blog, così come sui nostri canali social Instagram, Facebook e Linkedin sono di natura puramente informativa, e non possono in alcun modo sostituire il parere di un professionista.
Se ritieni di avere bisogno di aiuto, non esitare a contattarci: ti metteremo in contatto con lo psicologo più adatto per le tue esigenze. Torniamo ora al focus della guida di oggi: scopriamo insieme i disturbi da sintomi somatici.
Disturbo somatoforme o disturbo da sintomi somatici?
Nella pratica clinica, il termine “disturbo somatoforme” è stato sostituito da una differente nomenclatura. Infatti, scorrendo il DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), troveremo al suo posto i disturbi da sintomi somatici. I disturbi da sintomi somatici vengono descritti come un insieme di sintomi fisici che generano un forte disagio psicofisiologico.
Tale disagio porta ad una compromissione della vita quotidiana. Si stima che i disturbi da sintomi somatici siano diffusi per il 5-7% della popolazione italiana, e che le donne siano maggiormente colpite rispetto agli uomini. La preoccupazione presentata è generalmente molto alta, poiché dopo numerosi esami e check-up, siano essi generali o specifici, non viene evidenziata alcuna probabile causa organica, tanto che la persona è portata a contattare ulteriore strutture mediche e specialisti, nella speranza di comprendere cosa stia succedendo.
Quanto durano i sintomi somatici?
Quali sono i sintomi somatici?
I sintomi fisici più tipici di chi soffre di disturbo da sintomi somatici comprendono:
- senso di spossatezza (generico);
- mal di pancia e gonfiori/dolori addominali;
- problematiche intestinali;
- difficoltà sessuali (se. eiaculazione precoce);
- battito cardiaco accelerato o decelerato;
- anedonia;
- nausea e vomito;
- calo della libido (desiderio sessuale);
- cali di energie duraturi;
- forti dolori in un punto specifico del corpo, o generali.
- mal di testa.
Come riconoscere i disturbi da sintomo somatico?
Riconoscere tale disturbo non è semplice, a causa di due principali motivi:
- I sintomi possono essere o meno associati a un’altra condizione medica;
- La diagnosi di disturbo da sintomi somatici e quella di una possibile malattia organica non possono escludersi a vicenda, e potrebbero addirittura verificarsi contemporaneamente;
Nella quasi totalità dei casi, la persona ricerca cure mediche che tuttavia non sortiscono alcun effetto. E anzi, in alcuni casi è possibile che si verifichino effetti collaterali dovuti ai farmaci. Alcuni pensano che la valutazione medica e il trattamento cui sono stati sottoposti siano ti inadeguati
Inoltre, non è sufficiente soffrire di sintomi somatici privi di cause organiche plausibili per diagnosticare disturbi simili. Dovrebbe essere presente anche un senso di preoccupazione, autentico e persistente. La persona percepisce la propria situazione disperata, interpretando il fatto che la sintomatologia non abbia spiegazione biologica come segno di gravità assoluta. Come affrontare al meglio situazioni simili?
Curare i disturbi da sintomi somatici
Ogni persona, così come ogni situazione potenzialmente psicopatologica, è differente. Esisteranno quindi casi più gravi di altri, richiedenti interventi di un’equipe di professionisti. La prima azione valida dovrebbe essere quella di escludere a priori, come detto in precedenza, cause organiche.
Uno strumento molto utile sia in termini attivi che preventivi riguarda interventi psicoeducativi. Andrebbe spiegato alle persone che sofferenze mentali, o livelli di stress troppo elevati potrebbero provocare sintomi fisici. Molto spesso, nella società odierna, vige la tendenza di giudicare come immaginario qualunque sintomo che non abbia una causa medica ben definita.
Così come la sofferenza fisica può generare disagio psicologico, allo stesso modo la sofferenza mentale può generare sintomi fisici. Non si tratta di fantascienza, bensì di scienza. Con questa guida, noi di Helpmeout vorremmo contribuire ad aumentare la consapevolezza di ogni singolo individuo in merito. Perché appunto, il fatto che i sintomi non siamo supportati da una causa fisica non significa che siano immaginari o inesistenti.
La psicoterapia si mostra un trattamento efficace. A supporto di tale ipotesi è possibile trovare numerosi studi, tra i quali anche la metanalisi di Jing Liu e colleghi, sulla rivista scientifica “Journal of Affective Disorders”. Secondo i risultati dello studio della Liu, sessioni terapiche di circa un’ora agirebbero in modo importante sui sintomi somatici, contastandoli. Inoltre, con un percorso terapico completo, si andrebbero a ridurre notevolmente anche sintomi di depressione, ansia.
E quanto detto vale, ovviamente, in generale. Date tuttavia le differenze individuali prima citate, è sempre lecito affidarsi a professionisti della salute mentale come psicologi e psicoterapeuti. Persone che di mestiere aiutano altre persone. Affidarsi ad un professionista della salute mentale è un passo importante e delicato. Noi lo sappiamo bene, per questo il colloquio conoscitivo online è gratis. Ecco come funziona: per prima cosa dovrai compilare un questionario, per noi molto utile a comprendere i tuoi bisogni.
Questo infatti ci permetterà trovare il/la terapista più adatto alle tue esigenze, mettendoti in contatto con lui/lei. Il tutto culminerà con il colloquio conoscitivo gratuito online, dove anche tu potrai comprendere se quel professionista potrà davvero aiutarti. Ecco il link al questionario. Se c’è la soluzione, perché tenersi il problema? Life is too short to be unhappy.
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Covid, isolamento sociale e salute mentale
Ciò che prima avrebbe potuto essere un romanzo distopico, è divenuto realtà. La catastrofe che prende il nome di COVID-19 ha stravolto le vite di molti, imponendo cambiamenti contestuali e comportamentali. Durante periodi di Lockdown le persone hanno sperimentato una condizione di isolamento forzata. Quali potrebbero essere gli effetti di tali mutamenti sulla salute mentale delle persone?
Nella guida di oggi approfondiremo l’impatto dell’isolamento sociale sulla salute psicologica. Come sempre, ti ricordo che le informazioni qui riportate hanno fine puramente informativo, e non potranno mai sostituire il parere di un professionista. Se pensi di avere bisogno di un terapista online, nell’ultimo paragrafo troverai un link utile.
All’interno del testo saranno presenti, per ogni articolo scientifico citato, i link agli studi originali. Riteniamo imprescindibile fornire a chiunque la possibilità di risalire alla fonte informativa primaria. Buona lettura.
Isolamento e disagio psicologico
Il disagio psicologico causato dall’isolamento sociale può manifestarsi in differenti modi. Ansia, panico, sintomi ossessivo-compulsivi, problemi legati al sonno e molto altro. Nei casi più gravi è addirittura possibile parlare di disturbo post traumatico da stress. Gli effetti non possono di certo essere definiti come conseguenze dirette della pandemia, bensì come side effects legati all’isolamento prolungato.
Secondo Samantha Brooks, ricercatrice presso la facoltà di Psychological Medicine del King’s College di Londra, l’impatto psicologico della quarantena non riguarderebbe unicamente il tempo passato in isolamento. Nella ricerca pubblicata sulla rivista scientifica “The Lancet” nel 2020 le difficoltà e i sintomi psicopatologici ad esso associati potrebbero continuare a distanza di tempo (anche per anni).
L’impatto psicologico dell’isolamento sociale
Il COVID-19, come accennato in descrizione, rappresenta lo stimolo stressante per eccellenza degli ultimi due anni. Un virus che si è insinuato nella mente dell’essere umano, e che le odierne generazioni non dimenticheranno mai. All’interno del fenomeno pandemico, tuttavia, è possibile identificare alcuni stimoli stressanti
La Brooks, nel medesimo studio prima citato, divide gli stressor in alcune categorie, tra le quali quelli riscontrabili durante il periodo di isolamento forzato. Gli stimoli stressanti riscontrati durante i periodi di Lockdown sono:
- Periodo di durata della quarantena;
- Paura di contrarre il virus, o di infettare la propria famiglia/amici;
- Frustrazione, sentirsi impotenti di fronte agli eventi;
- Difficoltà a ricevere aiuto medico;
- Mancanza di risorse di supporto (es. terapia psicologica);
- Fake news pubblicate da fonti non meglio identificate;
Alcuni studi hanno evidenziato che la durata temporale dei periodi di isolamento sociale sarebbero associati ad un decremento di salute mentale, e a sintomi di disturbo post traumatico da stress, rabbia e comportamenti evitanti. Il terrore di
Covid, isolamento sociale e fake news
Un altro fenomeno importante che ha fortemente influenzato il comportamento delle persone riguarda la diffusione delle ormai tristemente famose fake news.
Secondo Yasmim Mendes Rocha e colleghi, è possibile identificare un impatto diretto delle notizie false sulla salute delle persone. Nello studio del 2020, gli studiosi evidenziano il fatto che sempre più spesso le persone tendono ad informarsi su spazi social come Facebook, Instagram, su siti (Wikipedia) o motori di ricerca in generale (Wikipedia, Google, Yahoo) piuttosto che da fonti autorevoli.
Non è un segreto che navigando in tali spazi digitali sia possibile imbattersi in fake news di ogni tipo. Le più celebri riguardano teorie cospirazioniste sull’origine del COVID-19, o su potenziali rimedi home-made per eliminarlo (limone, integratori multivitaminici, etc…). L’Infodemic Knowledge (termine coniato per identificare l’impatto di false news sulla pandemia) ha così portato alcuni individui a sviluppare disagio psicologico e sintomi psicopatologici.
Per contrastare tali comportamenti, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha tempestivamente messo a disposizione di tutti risorse informative scientifiche e aggiornate in tempo reale (qui il portale italiano). Possiamo giungere alla conclusione che la disinformazione ha fortemente influenzato la percezione delle persone incrementandone paure, promuovendo in alcuni casi comportamenti di completo isolamento.
Come tutelare la propria salute mentale?
Seguendo il modello bio-psico-sociale, sarà importantissimi agire sulla totalità dell’essere umano per raggiungere e/o mantenere un buono stato di salute. Quando dico salute, mi riferisco alla celebre definizione dell’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) che spesso troverai citata nelle nostre guide. La salute non dev’essere intesa come mancanza di malattia, ma come uno stato di benessere fisico, sociale e psicologico.
L’importanza dell’esercizio motorio intesa anche solo come semplice movimento quotidiano risulterà ottimale sul lato “benessere fisico”. Alcune ricerche scientifiche supportano l’ipotesi che allenamenti aerobici ad intensità moderate apportino benefici cognitivi e migliorino il tono dell’umore.
In seconda battuta, è necessario alimentare la propria socialità, interagendo con altre persone in contesti appropriati. Ciò che potrebbe risultare difficile dopo la pandemia, per alcuni, è il riappropriarsi dei propri spazi sociali. Riallacciare amicizie o relazioni non è semplice, e in questo l’aiuto di un terapista professionista potrebbe essere fondamentale. Per approfondire tale argomento, ti consiglio la nostra guida sulle difficoltà nelle relazioni sociali.
In ultimo, è importantissimo curare la propria salute psicologica. Questo sia in ottica preventiva, che nelle situazioni nelle quali il disagio sia maggiormente manifesto. Noi di Helpmeout crediamo che la psicologia sia per tutti coloro che vogliono stare meglio, oppure che semplicemente sentono di non vivere appieno la propria esistenza. Il nostro servizio di psicoterapia e supporto psicologico online è disponibile a prezzi calmierati, e non solo.
Se è la prima volta che entri in contatto con la nostra realtà, ho una buona notizia: potrai usufruire di un colloquio conoscitivo gratuito e senza impegno, da qualunque luogo. Non dovrai fare altro che compilare un breve questionario, che ci darà la possibilità di comprendere appieno il tuo bisogno. In secondo luogo, potrai confrontarti nel colloquio gratuito con un membro del team. Un terapista esperto, specificatamente formato per fornirti una soluzione concreta, che noi sceglieremo per te.
Ecco il link per accedere al questionario. Se c’è la soluzione, perché tenersi il problema? Life is too short to be unhappy.
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Ricominciare da zero all’estero: conseguenze psicologiche
Molti sono i motivi che potrebbero spingere una persona ad andarsene, a ricominciare da zero in un paese estero. Il desiderio di vivere esperienze differenti, di entrare in contatto con culture stimolanti. Oppure, in circostanze obbligate come la ricerca della libertà finanziaria impossibile nel paese di residenza. Nella stragrande maggioranza dei casi, la destinazione prescelta è poco conosciuta, o addirittura ignota. E altrettanto spesso l’unica compagna di viaggio, amaro frutto del cambiamento di contesto in essere, è la paura di ciò che non di conosce.
Ri-partire in una nuova realtà rappresenta un’esperienza potenzialmente sconvolgente per l’individuo, nel bene e nel male. All’iniziale crisi, dovuta al misurarsi con sfide quotidiane impensabili prima di partire, si avvicenderà l’adattamento. Il momento di transizione è però delicato, e se non affrontato nel migliore dei modi potrebbe impattare negativamente sulla salute psicologica.
Celebri sono i casi degli expat italiani all’estero che a causa di numerose difficoltà riscontrate nei “nuovi mondi” testimoniano ansia, ritiro sociale e sintomatologie depressive. Se anche tu provi – o hai provato – simili sensazioni, allora nella guida di oggi potrai trovare alcuni spunti utili. E ora, basta chiacchiere: addentriamoci, col l’ausilio della scienza, nel mito. Cosa hanno in comune un expat e Ulisse, l’eroe dell’odissea?
La sindrome di Ulisse
Chi non ha mai sentito nominare Ulisse, il principe di Itaca? L’eroe greco che dopo la guerra di Troia intraprese un interminabile viaggio verso casa. Interminabile perché l’uomo, sia per sua sete di curiosità che per volere divino, esplorò territori ignoti al genere umano. In una delle ultime tappe, la bella e immortale ninfa Calipso se ne innamorò e lo costrinse a passare sette anni in sua compagnia.
Soffermiamoci su quest’ultimo punto: sette anni di stressante prigionia, con l’unico desiderio di tornare verso l’amata Itaca per abbracciare il figlio Telemaco e la moglie Penelope. Imbrigliato in un contesto straniero, senza possibilità di socializzare se non con chi ne deteneva la prigionia. Ulisse rappresenta in tutto e per tutto l’emigrante che, obbligato da cause più grandi di lui, deve confrontarsi con un mondo straniero. Un universo del quale non conosce regole, usi e costumi, ma che allo stesso tempo è per forza di cose costretto a vivere.
E forse proprio per questo gli scienziati psicologi, in special modo Joseba Achotegui, attribuirono al disagio psicologico del migrante il nome di Sindrome di Ulisse. La separazione forzata dal proprio contesto, la paura di non farcela o di non riuscire ad integrarsi all’interno della nuova realtà. Sarebbe lecito citare la sindrome di Ulisse solo in casi estremi, dove il migrante sperimenta livelli di stress così intensi da essere ritenuti al di là della capacità di recupero umana. E non basta: tali livelli di stress dovrebbero essere mantenuti per periodi di tempo prolungati. Nel caso dell’expat, è possibile parlare di Sindrome di Ulisse? In un certo senso, si.
Il caso degli expat italiani durante la pandemia
Il contesto è una risultante che rappresenta molto più della somma delle singole parti. L’insieme di unità, ruoli e relazioni che lo compongono è un equilibrio incostante, dove il mutamento di un’unica variabile può in potenza stravolgere il risultato totale. Come ricordato dall’ultima guida sulla pandemic fatigue, il Covid ha rappresentato un’importante fonte di distorsione socio-culturale.
Da un giorno all’altro, le certezze sociali sono state completamente cancellate. Così, tanti espatriati italiani non hanno potuto fare ritorno alle loro famiglie, come Ulisse. Molti si sono sentiti prigionieri, in balia di un fenomeno immenso. E questo indipendentemente dalla natura dell’iniziale motivazione del cambiamento contestuale. I sintomi di tali obblighi riguardano, appunto, la salute psicologica. Alcuni dei sintomi più frequenti riscontrabili possono essere:
- Ansia o stress eccessivi, attacchi di panico;
- Apatia, senso di impotenza e rassegnazione;
- Pensieri intrusivi legati a preoccupazioni eccessive;
- Difficoltà nel ricostruire una rete sociale;
- Disturbi psicosomatici di varia natura.
Il repentino cambiamento del contesto culturale contribuisce a generare un forte senso di disorientamento iniziale, denominato dagli esperti shock culturale. Ribadisco che il provare uno o più di questi ultimi sintomi non significa essere psicopatologici.
Altrettanto vero è che, in caso di incertezza, non avrebbe senso tentare di autodiagnosticarsi attacchi di panico o disturbo depressivo maggiore. Solo un professionista sarebbe in grado di fornire una diagnosi accurata, e/o di supportare in modo funzionale la persona.
Certo, intraprendere una nuova vita non è impossibile e c’è chi ce l’ha fatta da sola/o senza alcun problema. Altri, invece, hanno preferito essere supportati in quel delicato periodo di transizione descritto in precedenza, situato tra ansie iniziali e adattamento.
Ricominciare da zero all’estero, in salute (psicologica)
Alcuni attribuiscono a Jean Piaget, celeberrima figura in ambito psicologico, la seguente frase:
Sfortunatamente per la psicologia, tutti pensano di essere psicologi
Che sia stato Piaget a pronunciarla o meno ha poca importanza. Ciò che più importa è la rilevanza di tali parole, oggi più che mai veritiere. Se è vero che la salute non è assenza di malattia, bensì un equilibrio di benessere fisico e mentale, sarà necessario rivolgersi ad esperti professionisti in caso di disagio psicologico. Quello della terapia rappresenta per l’expat, moderno Ulisse obbligato a gestire situazioni difficili, un supporto molto utile.
Il rapporto con un professionista fornirà alla persona strumenti indispensabili per gestire situazioni di disagio, emozioni, ansia e stress. Sarà inoltre possibile sviluppare determinate competenze di vitale importanza in ogni situazione, come la resilienza. Quel piegarsi ma non spezzarsi dinanzi ad eventi stressanti può infatti essere appreso.
Prima di concludere, è necessaria un’ulteriore considerazione. Il supporto online, nel caso degli italiani all’estero, assume un ruolo centrale. La possibilità di potersi esprimere nella propria lingua eliminerà eventuali difficoltà legati a barriere linguistiche. E, lascia che te lo ricordi, l’efficacia della terapia online è scientificamente supportata da numerose ricerche.
La metanalisi di Barak e colleghi, che prese in considerazione studi per un campione totale di 9,764 persone rivoltesi a psicologi e psicoterapeuti per i più disparati motivi (autostima, elaborazione del lutto, ansia, depressione, etc…) supporta fortemente la forza delle modalità terapiche a distanza. E ovviamente, a causa della pandemia, interventi simili hanno dimostrato la loro validità sul campo, diventando sempre più comuni e richiesti.
Ricominciare da zero all’estero, o comunque in contesti nazionali sconosciuti, è quindi possibile. Puoi decidere di farlo in autonomia contando unicamente sulle tue forze, oppure di essere supportata/o da un terapista esperto. La scelta, come sempre, è soltanto tua.
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Pandemic fatigue: riconoscerla e superarla
Il termine “pandemic fatigue” è diventato, a causa degli avvenimenti degli ultimi anni, tristemente noto agli occhi della popolazione generale. Lockdown, distanziamento sociale obbligatorio, quarantene, paura di contagio e mascherine hanno rappresentato un cambiamento epocale del tutto inaspettato. Col passare del tempo, tuttavia, numerose riviste scientifiche hanno evidenziato un fatto altrettanto inaspettato: col passare del tempo, della frustrazione e della fatica psicologica accumulata, le persone si sentirebbero sempre meno motivate nel rispettare le norme istituite.
Tale fenomeno prende appunto il nome di fatica da pandemia. Perché avviene? Quali potrebbe essere l’impatto psicologico di una crisi così grande, sul lungo periodo? Nella guida di oggi esploreremo il costrutto, con l’aiuto di alcuni documenti pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, o citando riviste scientifiche che tu stessa/o potrai controllare. In primo luogo è fondamentale definire in cosa consista la “fatica da pandemia”, seguendo le pubblicazioni più recenti. Dopo averne compresi i sintomi, lo sviluppo, e i potenziali rischi per la salute psicologica, forniremo indicazioni su come affrontarla al meglio, e infine curarla.
Cause e sintomi della pandemic fatigue
Il 31 dicembre 2019, da Wuhan arrivò una notizia che avrebbe completamente stravolto i destini di molti. Poco più tardi, infatti, venne identificata una nuova malattia virale trasmissibile da uomo a uomo, che noi tutti abbiamo imparato a chiamare COVID-19. Nel Febbraio 2020 ai primi casi italiani a Roma, seguirono contagi veloci e numerosi per tutta la penisola. Lo stato italiano, così come la quasi totalità dei paesi, fu costretto a dichiarare la chiusura totale.
Alla prima ondata ne seguì una seconda che vide ancora una volta la chiusura di alcuni esercizi commerciali, e il rispetto di norme igieniche ben definite. Quarantene, obbligo di indossare le mascherine chirurgiche in determinate situazioni e di mantenere le mani adeguatamente igienizzate. Un contesto angosciante, dominato dalla paura del contagio, distanziamenti obbligati da amici e parenti e da difficoltà psicologiche dovute all’ansia e allo stress generati negli individui. Emozioni negative che se protratte nel tempo possono sfociare nella fatica da pandemia, o pandemic fatigue.
E infatti nel documento citato nell’introduzione, firmato OMS (Policy framework for supporting pandemic prevention and management) la pandemic fatigue viene definita come una graduale perdita di motivazione a seguire le condotte comportamentali protettive e igieniche, a causa delle importanti mutazioni contestuali.
La persona che soffre di fatica da pandemia tenderà quindi a:
- Percepire un forte senso di demotivazione nel seguire le norme (indossare la mascherina, lavarsi le mani con cura, etc…);
- Sentirsi stremata, apatica, continuamente irritata o frustrata;
- Sperimentare difficoltà di concentrazione (Brain fog);
- Dormire per periodi di tempo superiori al solito (letargia);
- Dormire per periodi di tempo inferiori al solito (carenza di sonno).
Alla base di tali sintomi c’è, secondo le ultime ricerche, il carico di stress elevato e costante nel tempo. Come ben spiegato nella guida sullo stress lavoro correlato, l’essere umano è più incline a sopportare livelli di preoccupazione che si manifestino in acuto. La pandemia è, al contrario, una crisi che ci ha accompagnato nella quotidianità, per anni. Uno stimolo stressante in cronico, difficile da gestire in mancanza del supporto di figure qualificate.
Il legame tra depressione e pandemia
Secondo Seiter e Curran, è possibile che a causa della fatica accumulata, paure ed altre emozioni negative portino la persona verso stati psicopatologici, ritiro sociale e depressione. I due studiosi hanno evidenziato infatti una correlazione positiva tra una possibile fatica di pandemia e i sintomi della depressione. Benché tali risultati possano considerarsi interessanti, è lecito sottolineare che la ricerca scientifica sugli effetti psicologici della pandemia sia solo agli albori.
Quindi, benché possa esserci un legame, non è detto che la pandemic fatigue porti automaticamente a sviluppare mood depressivi o vere e proprie psicopatologie come il disturbo depressivo maggiore. Come nel caso della “relazione tossica“, quindi, non esiste ancora una definizione chiara e specifica della fatica da pandemia. Una cosa però è certa: con la salute psicologica non si scherza.
Ed è sicuramente difficile orientarsi in un universo come Google, dove è possibile trovare tutto (e il contrario di tutto). L’autodiagnosi ispirata da articoli da blog trovati online, compresa la guida che stai leggendo, non è mai una buona idea. Allo stesso modo, confrontarsi con figure non adeguatamente formate, o ancora peggio mancanti di riconoscimento legali potrebbe aggravare la situazione anziché risolverla.
La pandemic fatigue può essere curata, a patto che la persona si rivolga ad un professionista. Vediamo, ora, come.
Come gestire l’impatto psicologico della pandemia
Il covid ha rappresentato un evento potenzialmente stressante per chiunque, indipendentemente da orientamento religioso, classe sociale o schieramenti vari. E come avrai intuito dagli scorsi paragrafi, sottovalutare la situazione equivale a favorire lo sviluppo di un potenziale disagio psicologico. La prima cosa da fare è informarsi mediante la consultazione di fonti autorevoli come per esempio l’organizzazione mondiale della sanità prima citata.
Nel caso in cui sia presente un marcato disagio psicologico di qualunque entità percepita, per tutelare la propria salute mentale, è necessario rivolgersi ad un team di specialisti. E, come da consuetudine, voglio segnalarti la possibilità di usufruire di un colloquio conoscitivo gratuito con i nostri psicologi, completamente online. Come ottenerlo?
Il primo passo consiste nel compilare un questionario (puoi trovarlo qui). Attenzione: la compilazione è di fondamentale importanza perché ci permetterà di identificare quale, tra i membri del nostro team, sia il più indicato per aiutarti. In secondo luogo, potrai fissare il colloquio conoscitivo. Avrai così la possibilità di confrontarti direttamente con il terapeuta e senza alcun obbligo. Se, e solo se ti sei trovata/o bene, potrai decidere di continuare. Il tutto in completa comodità, perché appunto svolto online. Se c’è una soluzione, perché tenersi il problema?
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Disturbo ossessivo compulsivo: sintomi e cura
Come capire se si ha un disturbo ossessivo compulsivo?
Quali sono le ossessioni più comuni?
Sebbene il significato ossessivo e le modalità compulsive possano variare fortemente da individuo a individuo, i casi più comuni riscontrati riguardano:
- contaminazione: senso di “sporco” dopo essere entrati in contatto con sostanze (sporcizia, fluidi corporei, cibi) o talvolta situazioni contaminanti (pensieri legati alla sessualità considerati dalla persona come immorali). Alla sensazione di disgusto corrisponderà l’atto di pulizia, percepito come fondamentale per liberarsi dell’agente contaminante.
- ordine: pensieri ossessionanti di simmetria, e conseguente compulsione di mettere in ordine, di contare o posizionare in modo più simmetrico possibile oggetti e pensieri;
- controllo: paura persistente di aver compiuto errori, o di aver dimenticato qualcosa (il gas o le luci di casa accese, la porta aperta, etc…);
- ossessioni pure: presenza di pensieri intrusivi riguardanti azioni lesive nei confronti di altri, o condotte comportamentali mal viste perché ritenute blasfeme o comunque contro una regola culturale/religiosa.
- accumulo: tendenza a conservare beni, talvolta deperibili o abbandonati nell’ambiente perché privi di qualunque valore (lattine, contenitori di cibo utilizzati).
Comportamenti simili sono stati identificati in paesi e popolazioni differenti, e sono generalmente costanti nel tempo. I sintomi possono essere molteplici, e appartenenti a più dimensioni. Per esempio, è possibile che nella persona che soffra di DOC, a causa dell’ansia generata dall’ossessione, vengano riscontrati attacchi di panico e in casi eclatanti ideazione suicidaria.
Le cause del DOC sono riassumibili in un complesso insieme di variabili genetiche e ambientali. Nonostante ad oggi l’eziologia (causa scatenante primaria) del disturbo non sia ancora chiara, è importante sottolineare che è possibile curarlo con successo. Le terapie utili a tale scopo sono la farmacologica, e la terapia psicologica. Come funziona?
Come si guarisce da un disturbo ossessivo compulsivo?
La presenza del DOC può essere un grave problema, poiché in casi patologici è invalidante. A causa dei pensieri ossessivi, e dal senso di pericolo da essi generato, la persona potrebbe essere impossibilitata nel concentrarsi su altro. Sentirsi immorali o addirittura pericolosi per i propri cari può essere difficile. Come comportarsi?
Una delle domande maggiormente frequenti sul web, riguardante il topic di questa guida, è la seguente: “Come curare il disturbo ossessivo compulsivo senza farmaci?“. La risposta, dopo un’attenta valutazione, potrebbe essere: con una terapia psicologica. Sarebbe fondamentale agire con la comparsa dei primi sintomi, poiché se non adeguatamente trattato, il DOC tenderà a peggiorare nel tempo.
La terapia si è dimostrata utile nel ridurre i sintomi e la frequenza manifestata, portando a risultati significativamente positivi. Sarebbe possibile ottenere miglioramenti mediante l’applicazione di tecniche espositive graduali, che permettano alla persona di sperimentare l’ansia, comprenderla e in secondo luogo gestirla. Il tutto, ovviamente, deve essere svolto sotto la supervisione di un esperto, evitando improvvisati.
Come hai potuto ben notare, per curare il disturbo ossessivo compulsivo è fondamentale rivolgersi ad un professionista, che padroneggi teoria e pratica psicologica. Nelle prime righe ho accennato alla possibilità di un primo colloquio gratuito, completamente online, con i nostri terapisti: bene, ora ti spiegherò come funziona.
Non dovrai fare altro che compilare un questionario, che ti lascio qui. Noi di Helpmeout potremo così comprendere al meglio la tua situazione, e consigliarti il terapista del team perfetto per i tuoi bisogni. Dopo il primo colloquio sarai tu a decidere se e in che modo proseguire. La soluzione c’è, ed è a portata di click. Life is too short to be unhappy.
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Attacchi di panico: cosa sono e come gestirli
Una sensazione d’allarme fuori dalla norma, soffocante, spaventosa, che si verifica all’improvviso senza alcuna avvisaglia: ecco gli attacchi di panico. In alcuni frangenti la reazione ad una minaccia percepita e/o reale è così forte da far perdere completamente il controllo. Sopraggiunge così un autentico terrore che paralizza. Nei casi più estremi la persona è convinta di impazzire, perdendo il contatto con la realtà, o addirittura di morire.
I sintomi più diffusi dell’attacco di panico sono:
- Battito cardiaco accelerato;
- Formicolio agli arti (superiori, inferiori o entrambi);
- Difficoltà nella respirazione e sensazione di soffocare;
- Lancinanti dolori al petto;
- Debolezza generalizzata;
- Senso di vertigini inspiegate.
E potrei citarne molti altri. In potenza chiunque, almeno una volta nella propria vita ha incontrato simili difficoltà, perché l’essere umano è naturalmente vulnerabile al panico. Ciò che in pochi sanno però è che non è necessario alcun trattamento per guarire da un attacco di panico. Gli attimi di confusione e i sintomi appena citati possono durare minuti, ma poi generalmente tendono a svanire da soli. Ciò che può essere realmente patologico non è quindi il singolo episodio, quanto la cronicità e il contesto nei quali si manifesta. C’è una bella differenza, infatti, tra attacco e disturbo di panico. Cosa dicono le ultime ricerche scientifiche in merito? Qual è il miglior metodo per guarire e prevenire attacchi futuri? Scopriamolo insieme.
Attacchi di panico: quando l’ansia diventa un problema
L’ansia non è di per sé un sintomo patologico, ma anzi ha contribuito alle grandi prestazioni dei nostri antenati, in grado di scappare più rapidamente, o affrontare altri predatori con una marcia in più. Infatti, grazie a meccanismi come il “Fight or Flight” la specie umana ha potuto sopravvivere in ambienti ostili, permettendo l’evoluzione. Tutti, quindi, siamo potenzialmente vulnerabili al panico, e lo abbiamo provato costantemente durante l’arco di vita. Quando però il fenomeno assume caratteristiche incontenibili, diventa un problema e può tramutarsi in una vera e propria psicopatologia.
Attacco e disturbo di panico però, come vedremo di seguito, hanno valenza e significato completamente diversi. Molto spesso, poi, il fenomeno viene associato ad Agorafobia. L’agorafobia viene descritta dal National Institute of Mental Health come un disturbo d’ansia che genera nella persona una intensa paura nei confronti di luoghi o situazioni nei quali sarebbe difficile allontanarsi, o ricevere soccorso (piazze affollate, concerti, mezzi di trasporto come bus o aerei, circostanze di vita isolate, etc…).
Sarebbe possibile sviluppare agorafobia successivamente all’attacco di panico, in quanto nella persona potrebbe nascere il timore di non poter essere adeguatamente soccorsa in caso di bisogno, qualora dovesse ripresentarsi il problema. Non vi è però la certezza matematica che questo accada. Andiamo ora a rispondere ad alcune delle domande più frequenti che le persone pongono online – e che probabilmente anche tu ti sei posta/o – riguardo agli attacchi di panico.
Quanto dura, in media, l’attacco di panico?
Gli attacchi di panico si verificano improvvisamente, e raggiungono il picco in cinque/dieci di minuti. Dopo questo lasso di tempo, il panico tende gradualmente a diminuire fino a scomparire. Le tempistiche però si riferiscono ad una media, e possono cambiare in base alle differenze individuali personali.
Differenze tra attacchi di panico e disturbo di panico
L’attacco di panico è caratterizzato da eventi episodici che, come abbiamo appena visto, hanno breve durata. Il disturbo di panico vero e proprio, al contrario, si presenta quando gli attacchi di panico sono ricorrenti per periodi di tempo prolungato (un mese o più). Approfondiremo gli aspetti psicopatologici e diagnostici nell’ultimo paragrafo.
Cosa fare per calmare un attacco di panico?
È possibile utilizzare differenti strategie utili sia a prevenire, che a gestire l’attacco durante il suo svolgimento. In ottica preventiva, interventi di psico-educazione si sono rivelati estremamente utili, perché vanno a fornire alla persona informazioni utili a comprendere cosa stia succedendo veramente. Spesso, infatti, all’individuo sfuggono le cause reali di ciò che percepisce, fraintendendo il reale significato delle sensazioni fisiche.
Tali fraintendimenti, legati a mancanza di obbiettività (spesso accostata a chi è maggiormente sensibile all’ansia) e timore di subire un attacco di panico portano ad interpretazioni erronee di eventi quotidiani. Per esempio, un sintomo fisico dovuto all’ingestione di cibi o ad eventi importanti (e quindi generanti ansia) potrebbero essere percepiti come l’inizio di una catastrofe, facendo scivolare rapidamente la persona nel terrore più totale.
Si tratta però di una correlazione illusoria, priva di fondamento. La comprensione delle cause reali delle sensazioni fisiche provate sarà di grande aiuto. Agendo direttamente con la respirazione, inoltre, è possibile modulare lo stato di “attivazione fisiologica”, permettendo un rilassamento progressivo.
Come gestire un attacco di panico?
La terapia psicologica o attenti interventi psicoeducativi rappresentano sicuramente un ottimo approccio in ottica preventiva, per imparare a gestire eventuali attacchi. Nel caso del disturbo di panico, invece, è uno dei metodi più proficui da adottare. La figura dello psicologo, legalmente abilitato, con anni di studio ed esperienza alle spalle, sarà in grado di comprendere la situazione, e consigliare la soluzione migliore.
Una diagnosi clinica di disturbo di panico potrebbe essere effettuata se sono presenti:
- Attacchi di panico frequenti e improvvisi;
- Eccessiva preoccupazione di contrarre futuri attacchi di panico;
- Eccessiva preoccupazione di possibili conseguenze negative legate all’attacco di panico;
- Cambiamenti comportamentali evidenti dovuti alla consistente paura che il fenomeno si ripresenti;
Ognuno di questi dovrebbe essere esibito successivamente ad un attacco di panico, per periodi di tempo superiori ai trenta giorni.
Con questa guida spero di averti fornito informazioni utili alla comprensione dell’ansia, e del fenomeno degli attacchi di panico. Come sempre, ti ricordo che una guida trovata online, anche se contenente dati e teorie scientifiche, non sostituisce in alcun modo un parere diagnostico di un professionista della prevenzione e della salute mentale. Nel caso volessi approfondire altre tematiche legate al mondo del benessere, puoi trovare molto materiale aggiornato sul nostro Blog. Buona lettura, e a presto.
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La resilienza come risorsa per l’expat
La resilienza è fondamentale per l’expat, imprescindibile per resistere agli “urti psicologici” causati dal cambio di vita. Nella guida di oggi troverai informazioni utili, e spunti per capire quanto sia importante, e come coltivarla al meglio. La consapevolezza dei meccanismi psicologici, e il “come” si affrontano delusioni o situazioni vissute come negative fa la differenza. Saper riconoscere le proprie emozioni porta l’essere umano a:
- Maggior capacità di adattamento;
- Spiccato spirito d’iniziativa.
E molto altro. Scopriamo insieme di più, affidandoci alla scienza e all’esperienza del nostro team di psicologi abilitati, che supporta con professionalità gli italiani all’estero.
Qual è il reale significato della parola resilienza?
Resilienza è uno dei termini psicologici divenuto ormai famoso sul web, perché spesso utilizzato anche dai non addetti ai lavori. Come spesso accade, però, il reale significato che si nasconde dietro all’abuso differisce fortemente dalle mille sfumature nate da risorse raggiungibili online. Prima di tutto, infatti, occorre verificare che chi scrive sia un professionista del settore, o comunque abbia una formazione specifica per supportare le informazioni citate. Con noi puoi stare sicura/o: oltre alle citazioni, troverai i link agli studi, pubblicati su riviste scientifiche certificate e internazionali. Potrai quindi consultarli personalmente, e verificare con i tuoi stessi occhi la veridicità delle fonti.
Partiamo ora alla scoperta della resilienza. La prima tappa del nostro viaggio sarà la cosiddetta “psicologia ingenua” o “Folk Psychology”(conoscenze psicologiche derivanti dal senso comune o da esperienze pregresse, spesso errate). Nell’immaginario collettivo la persona resiliente assume superpoteri, come la possibilità di non farsi influenzare dalle situazioni di vita, a causa del totale controllo delle emozioni. Uno scenario simile, tuttavia, esula dalla realtà dei fatti.
Per quanto resilienti noi potremo essere, saremo sempre influenzabili (e influenzati) dalle emozioni che proviamo. Eliminare uno stato d’animo (la tristezza, per esempio) perché non ci piace è impossibile. Possiamo però imparare a gestire le emozioni, diventando maggiormente resistenti alle difficoltà vissute. Il primo concetto fondamentale, in questo senso, è la consapevolezza.
L’individuo resiliente è infatti consapevole del fatto che la sofferenza sia inevitabile, ma che appunto sia una condizione reversibile. La medesima consapevolezza porta la persona ad interpretare gli eventi negativi del passato come un’opportunità di crescita, e non come un ricordo da evitare. Si attuerà così un circolo virtuoso, fondamentale per sviluppare strategie di coping funzionali, migliorando la tolleranza alle possibili frustrazioni.
Quindi certamente l’essere più resilienti sarebbe utile a chiunque, a capo di eventi potenzialmente stressanti. Esemplificando in ambito di coppia e amoroso, la fine di una relazione può rappresentare fonte di disagio psicologico, così come in un contesto differente il lutto di un famigliare. Nel caso di una persona che vada a vivere in un altro stato, però, è ancora più utile.
Perché e come la resilienza è importante per l’expat?
Vivere all’estero, partire per una meta sconosciuta equivale a scrivere un nuovo capitolo nella propria vita. Si tratta di una scelta importante, che pone l’individuo dinanzi a rinunce, decisioni difficili, e assenze da casa prolungate o quasi permanenti. Solo vivendo, poi, sarà possibile trovare una risposta a pesanti interrogativi. In che modo si trasformerà il rapporto con la rete sociale in patria, formata da amici e famigliari? Come verrà vissuta l’impossibilità di non poter festeggiare eventi importanti (laurea, matrimonio, compleanni, etc…) delle loro storie personali?
Quasi sempre l’expat si troverà davanti ad un contesto relazionale e sociale con nuove regole, nuovi interpreti e usi a lui/lei sconosciuti. L’impatto con una nuova realtà pone quindi l’individuo dinanzi a potenziali problematiche, predisponenti a pensieri intrusivi. Il fenomeno descritto ha un nome: mi riferisco allo Shock Culturale.
Ecco perché, allora, la resilienza assume un ruolo ancora più rilevante: la capacità di soffrire, di piegarsi ma non spezzarsi per sempre aiuta a gestire il disagio psicologico, a prevenire la patologia e a conservare l’autostima. Avere una buona considerazione di noi stessi ci renderà più propensi a provare cose nuove, favorendo la socializzazione anche in contesti considerati più ostici.
Come spesso accade in ambito psicologico, il problema e la soluzione si trovano nel medesimo spazio. Il processo di sviluppo della resilienza viene in molti casi ostacolato da:
- La percezione che la persona ha di se stessa;
- Credenze su di noi e sul mondo che ci circonda;
- Valori personali.
Credere di non essere abbastanza, che il mondo agisca contro i nostri interessi potrebbe rendere difficoltoso il processo di crescita psicologica personale, sfavorendo i processi di adattamento in un “nuovo mondo”. A volte uscire dalla propria comfort zone può essere percepito come difficile, se non impossibile. Coltivare un forte senso di resilienza dinanzi ad eventi avversi, può essere ancora più difficoltoso. in casi simili, un supporto psicologico adeguato ti permetterà di sviluppare questa straordinaria abilità.
Oltre gli stereotipi della psicologia
In pochi sanno che lo psicologo può agire sia per risolvere un disagio psicologico già manifesto, che in ottica preventiva. Ancora una volta, però, per un expat potrebbe essere difficile trovare un terapista con il quale potersi esprimere in lingua madre, al di là di ogni barriera linguistica. La soluzione consiste nell’affidarsi ad un professionista della salute mentale online. Dati scientifici alla mano, la terapia online offre un supporto di pari efficacia della terapia de visu (Cook et al., 2002), e risulta anche più comoda per svariati motivi (possibilità di svolgere le sedute ovunque, a qualunque ora).
Affidarsi ad un professionista della salute mentale è un passo importante e delicato, e noi di Noi di Helpmeout lo sappiamo bene. Offriamo, a chiunque non sia mai entrato in contatto con noi, un primo colloquio gratuito conoscitivo online. Come funziona? Semplice: non dovrai fare altro che compilare un questionario, per noi molto utile a comprendere i tuoi bisogni.
Questo infatti ci permetterà trovare lo psicologo più adatto alle tue esigenze. Il tutto culminerà con il colloquio conoscitivo gratuito online, dove anche tu potrai comprendere se quel professionista potrà davvero aiutarti. Ecco il link al questionario. Per qualunque altra cosa, non esitare a contattarci: siamo qui per aiutarti a risolvere nel miglior modo possibile il tuo disagio psicologico. Se c’è la soluzione, perché tenersi il problema? Life is too short to be unhappy.
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Una parafilia è sempre patologica? Il caso del feticismo
Il termine “parafilia” si riferisce a comportamenti sessuali ricorrenti o intensamente eccitanti, riguardo a oggetti inanimati, parti del corpo o esperienze estreme di sofferenza e umiliazione. Nell’immaginario collettivo, ad essa si associa il fenomeno sessuale del feticismo legato appunto all’attrazione verso il “feticcio”, un oggetto o una parte del corpo specifica del partner sessuale. Seni, ascelle, lingua, o, nel caso di oggi, nei confronti del piede. L’attrazione verso i piedi, seguita da un eccitamento sessuale potrebbe creare disagio psicologico alla persona.
Approfondiremo oggi un argomento di grande interesse, legato alla vita sessuale individuale e di coppia. Lo faremo, come sempre, avvalendoci delle migliori fonti scientifiche esistenti. La domanda alla quale cercheremo di dare risposta è la seguente: una parafilia come il feticismo è sempre considerata patologica? Scopriamo insieme la risposta.
Parafilie patologiche, impulsi e fantasie sessuali
Fu Freud, nel 1905, a definire per la prima volta attività sessuali viste come inusuali all’epoca, come l’eccitamento dovuto a zone del corpo diverse dai genitali, utilizzando il termine parafilia (dal greco παρ/par=”oltre” and φιλ?α/filia=”Amore”). Dopo anni vennero pubblicati trattati e studi a supporto dell’ipotesi che comportamenti simili fossero largamente diffusi. Venne così coniato il termine “perversioni sessuali” poi divenuto tanto comune, quanto impropriamente usato.
Oggi la letteratura scientifica sulle parafilie è importante. Decine di anni di studi hanno permesso di giungere ad una definizione completa, che non per forza vede nella parafilia un disturbo mentale. La prima importantissima distinzione da porre è quella tra la parafilia (Avere interessi fuori dagli schemi che non influenzano in modo negativo eventuali relazioni) e disturbo parafiliaco. Il disturbo può infatti essere diagnosticato quando:
- Gli impulsi sessuali sono ricorrenti e intensi;
- Causano un disagio che va a minare il normale svolgimento della vita quotidiana, o rappresenta una minaccia per altre persone (bambini o adulti non consenzienti);
- Provocano difficoltà sessuali e interpersonali, tanto da impedire relazioni.
Nonostante questi ultimi criteri, secondo il DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) per alcune parafilie specifiche il disturbo viene diagnosticato a prescindere. Non è questo il caso del feticismo, che costituisce una pratica considerabile come patologica esclusivamente in alcune situazioni. Cosa dice la scienza a riguardo?
Feticismo del piede: una pratica “fuori dal comune”
Nella società occidentale odierna la pratica sopra citata rappresenta un tabù e viene messa in contrapposizione con le pratiche sessuali considerate maggiormente “nella norma”. Alcuni potrebbero addirittura percepire l’eccitazione provocata dai piedi come qualcosa di inaccettabile, o addirittura estremo poiché estraneo all’ordinario. C’è però una bella differenza tra parafilia e parafilia patologica.
Per far si che un individuo con tali interessi venga definito patologico, devono essere soddisfatti alcuni criteri diagnostici, tra i quali:
- Desiderio incontrollato e fantasie ricorrenti per un periodo superiore ai 6 mesi, derivante dal costante utilizzo nella pratica sessuale del feticcio, considerato un oggetto o parte del corpo diversa dai genitali (quindi, nel caso di oggi, del piede);
- I desideri, le fantasie e la pratica sessuale legata al feticcio causano disagio psicologico, e una conseguente interferenza con la vita quotidiana in aree di funzionamento importanti (studio, lavoro, interazioni sociali con amici e con il proprio partner).
Alcune parafilie, che in genere riguardano stimoli o situazioni inadeguate, illegali o pericolose per altri individui, vengono considerate a prescindere patologiche anche in assenza di disagio psicologico provato da chi le mette in atto (aggressioni sessuali, stupro, abusi su minori). Non è questo il caso del feticismo del piede. Anche se considerato al di fuori del convenzionale, può essere inserito all’interno della vita di coppia a patto che non sia fonte di disagio e pensieri intrusivi.
Quanto è diffuso il feticismo del piede?
Sarebbe davvero difficile trovare una risposta definitiva ad una domanda del genere, perché esageratamente specifica. Ciò che è possibile fare, però, è stimare quanto le parafilie considerabili potenzialmente non patologiche (e quindi anche il feticismo dei piedi) siano presenti. Secondo lo studio di Christoph Joseph Ahlers e colleghi (2011), che ha preso in considerazione un campione di 367 volontari maschi, con età compresa tra i 40 e i 79 anni, le parafilie sarebbero largamente diffuse. Dei partecipanti, infatti, circa il 63% dichiarò di aver avuto fantasie sessuali al di fuori dagli schemi classici.
Il dato è supportato da altri studi più recenti. Nel 2017, infatti, Joyal e Carpentier indagarono la diffusione delle parafilie definibili non patologiche su un campione più ampio: 1040 persone, questa volta di sesso maschile e femminile. I risultati furono simili: circa la metà dei partecipanti all’esperimento dichiararono di aver provato interesse e sperimentato almeno uno dei feticismi presi in considerazione.
Come si curano i feticismi?
Il feticismo vede scaturire impulsi sessuali intensi e conseguente eccitamento dal contatto con oggetti inanimati, parti del corpo differenti dai genitali, o in generale da qualunque altro stimolo. Molto spesso il termine feticismo viene accostato ai piedi o ad accessori dell’arto inferiore, come stivaletti, calze e altri. Il motivo è semplice: in percentuale, il feticismo maggiormente diffuso riguarda questa parte del corpo. A livello teorico, tuttavia, qualunque oggetto può diventare un feticcio, ovvero un oggetto di piacere.
Molti feticisti si vergognano delle pulsioni ora descritte, manifestando un disagio importante, in alcuni casi impossibile da sostenere, perché appunto la “perversione” viene considerata come distante dai canoni della “normalità”. Reputo importante ricordare che questi ultimi sono influenzati dalla cultura e dalla società di appartenenza. Il feticismo può essere considerato patologico solo ed esclusivamente quando il richiamo all’oggetto considerato feticcio diviene l’unico modo per eccitarsi e raggiungere l’orgasmo.
In tutti gli altri casi dinamiche simili non costituiscono fonte di problematiche relazionali. La sperimentazione di nuove pratiche sessuali all’interno della vita di coppia non ha di per sé nulla di patologico. Nel caso tu viva un’esperienza di disagio dovuta a problematiche legate alla sfera sessuale, la miglior soluzione è la seguente: rivolgersi ad un professionista della salute mentale.
Nel nostro team esperti psicologi e psicoterapeuti aiutano ogni giorno le persone a gestire le loro emozioni, trovando soluzioni concrete. Offriamo a chiunque non sia mai stato supportato da noi un colloquio gratuito, che ti permetterà di comprendere se e come il nostro team potrà e usufruisci del primo colloquio online conoscitivo gratuito. Se c’è una soluzione, perché tenersi il problema?
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Psicologo online per italiani all’estero: è davvero utile?
Per molti, il 2020 è stato uno tra gli anni più difficili da affrontare e superare. La pandemia, e le conseguenze economiche sono state disastrose e hanno lasciato il segno, minando la salute mentale sia dell’italiano in patria che all’estero. La differenza tra questi due, però, è abissale: per molti expat italiani è stato impossibile tornare a casa, e quindi supportare e/o essere supportati da amici e famigliari.
La richiesta di supporto psicologico da parte degli expat è in aumento. Se anche tu sei emigrata – o emigrato – all’estero e stai soffrendo di un disagio psicologico legato alla tua situazione, sappi che in questa guida potrai trovare informazioni molto utili. Nelle prossime righe scopriremo infatti se e come lo psicologo online per italiani all’estero sia davvero utile, indagando in modo scientifico i pro e i contro della terapia psicologica individuale svolta mediante mezzi digitali.
Lo faremo in modo scientifico, servendoci come al solito di fonti autorevoli, e paper scientifici pubblicati su riviste internazionali. Perché la differenza tra un improvvisato e un professionista sta anche nella qualità delle informazioni citate.
Psicologo online per gli italiani all’estero: pro e contro
Andarsene, alla ricerca di un sogno, o per lavoro, e trovarsi catapultati in un universo tutto nuovo, dominato da regole comunicative sconosciute: sappiamo che non è affatto facile. In alcuni articoli precedenti, e nei futuri che pubblicheremo a tema expat e psicologia, abbiamo ribadito che gli italiani all’estero per i più disparati motivi hanno una cosa che li accomuna: una possibile problematica di integrazione.
Le cause possono essere numerose, e vanno dalla semplice timidezza alle barriere linguistiche. Il saper comunicare con efficacia in una lingua straniera non è cosa da poco, e non equivale al conoscere le regole grammaticali. Prendiamo d’esempio uno studente italiano che, durante gli anni all’università ha avuto modo di scambiare parole e pensieri in lingua inglese con persone provenienti da tutto il mondo grazie al Progetto Erasmus. Essere bravi a parlare una lingua perché appresa durante l’iter universitario non equivale ad esprimere i propri bisogni, desideri, e a farsi capire in un contesto lavorativo. La lingua, come codice comunicativo, assume un altro significato in Nuova Zelanda, a Londra o in Irlanda, anche se di fatto si tratta sempre di Inglese.
Il repentino cambiamento del contesto culturale contribuisce a generare un forte senso di disorientamento iniziale, denominato dagli esperti shock culturale. Benché tale sentimento possa essere considerato nella norma, se non gestito a contatto con un professionista, potrebbe generare un forte disagio psicologico. Ecco alcuni sintomi cognitivi, comportamentali e motivazionali:
- Aumento dei livelli di stress;
- Umore depresso o depressione;
- Ansia, pensieri intrusivi;
- Decremento dell’autostima;
- Difficoltà nelle relazioni sociali e con il nuovo contesto;
- Sentirsi “bloccati” senza una ragione ben precisa.
Da qui possono emergere poi stati d’animo negativo, che influiscono sulla qualità della vita e sulla produttività dell’individuo. Il supporto psicologico rappresenta quindi un servizio indispensabile a chiunque voglia prevenire, o agire, su disagi psicologici di qualunque entità.
Cosa fare quando non è possibile recarsi fisicamente da un professionista della salute mentale che parli e comprenda appieno la medesima lingua della persona “bloccata”? La migliore soluzione è contattarne uno online. Numerosi studi supportano l’ipotesi che non esistano differenze significative tra interventi psicologici online e dal vivo. In che modo?
Supporto psicologico online: cosa dice la scienza?
Barak e colleghi, nel 2008, hanno pubblicato una metanalisi a riguardo. Nel caso non lo sapessi, una metanalisi è uno studio scientifico che, raggruppando più studi su una tematica prescelta, ne supporta o rigetta la validità. La domanda che gli studiosi si posero era appunto la seguente: la terapia online può essere ritenuta più efficace, o comunque eguagliare i risultati della terapia dal vivo?
Gli scienziati presero in considerazione un numero di studi elevato. Il campione totale fu di 9,764 persone che tra il 1990 e il 2006 si rivolsero a psicologi e psicoterapeuti per i più disparati motivi (autostima, elaborazione del lutto, ansia, depressione, etc…). Le analisi statistiche sui dati mostrarono che l’efficacia di interventi online e dal vivo sia pressoché… identica. Non c’è da stupirsi, quindi, che nell’ultimo periodo la richiesta di un supporto erogato con mezzi digitali sia aumentato, con conseguente successo.
Il lato scientifico, seppur importante, non è il solo pro. Lo psicologo online assume un valore centrale per gli italiani all’estero. Il potersi esprimere nella propria lingua madre oltre ogni barriera linguistica, potendo fissare gli incontri in fasce orarie prestabilite, senza la necessità di muoversi può risultare molto comodo.
Dopo aver compreso quindi che il supporto psicologico online è funzionale, non resta che una domanda da porsi: come potrebbe essere possibile scegliere lo psicologo adatto alle nostre esigenze, se la prima impressione che si ha di molti professionisti consiste in una foto e una manciata di informazioni sul percorso formativo universitario e post-universitario? Abbiamo ideato una soluzione funzionale, che mi piacerebbe descriverti nel prossimo paragrafo.
Come scegliere lo psicologo più adatto a te
Noi di Helpmeout siamo soliti utilizzare un’espressione innovativa e molto significativa, ovvero:
Get matched con lo psicologo giusto per te
Lascia che ti spieghi il significato del nostro motto: da “addetti ai lavori” siamo ben consci che non esista la formula magica in grado di “smaltire” un disagio psicologico, che sia ansia, bassa autostima, o altro, in un sorso. Ciò che però possiamo fare, è mettere a tua disposizione i nostri tanti professionisti , tra i quali ti aiuteremo a trovare quello più adatto alle tue esigenze. Non solo: avrai la possibilità di “toccare con mano” senza spendere un solo euro. Uno dei valori che ci contraddistingue da altri è appunto il dare la possibilità del primo colloquio conoscitivo gratuito. Come funziona?
Molto semplice: in primis troverai un questionario, il quale ti aiuterà ad esprimere ciò che senti. In secondo luogo, potrai intraprendere il primo colloquio gratuito conoscitivo online, con uno dei membri del team, selezionato in base alle tue esigenze. In questo modo, avrai la possibilità di conoscere il terapeuta di persona, e di capire se fa per te. Prenota il tuo primo colloquio gratuito con noi. Se c’è una soluzione (a portata di click), perché tenersi il problema?
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Nostalgia di casa: expat e depressione
Expat e depressione: un binomio purtroppo noto ai nostri tempi, dovuto a quel forte sentimento di nostalgia che chi è costretto a vivere fuori di casa ha provato almeno una volta. L’ondata pandemica ha inoltre contribuito a peggiorare la situazione: molti avrebbero voluto essere a casa per aiutare i loro cari, ma non sempre è stato possibile.
Il concetto di colpa per non essere presenti per i propri famigliari durante periodi difficili prende il nome di Expat Guilt. Il senso di disagio psicologico che ne deriva è tale da portare l’individuo a stati di depressione clinica. Voglio ribadirlo: la depressione, a patto che soddisfi determinati valori, è una psicopatologia a tutti gli effetti. Essa si manifesta con una serie di sintomi ben specifici e definiti, non unicamente con tristezza e senso di vuoto.
Nel 1948 l’organizzazione mondiale della sanità diede una definizione di salute dettagliata, mettendo l’accento sulla variabile psicologica. Da lì a poco, venne teorizzato un modello che sta sempre più prendendo piede: il modello bio psico sociale. Si tratta appunto di una visione completa dell’essere umano, influenzato nella malattia e nel benessere da molteplici fattori. Vengono così avvalorati gli aspetti psicologici, sociali, familiari dell’individuo, fra loro interagenti. Nelle seguenti righe scopriremo come un approccio simile possa essere ritenuto vitale nel supportare l’expat nel guarire dalla depressione. Prima, però, occorre fornire una ragionevole risposta all’annosa domanda: com’è possibile sapere se una persona sia realmente depressa, o meno?
Come faccio a sapere se sono depressa/o?
La depressione clinica, considerata psicopatologia, deve soddisfare determinati criteri che è possibile trovare nel DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), un testo specialistico di difficile interpretazione per i non addetti ai lavori. I parametri citati nel DSM-5 sono di fondamentale importanza, in quanto nel gergo comune troppo spesso il termine depressione viene utilizzato come sinonimo di tristezza. La realtà è ovviamente ben diversa.
Premettendo, come al solito, che l’autodiagnosi non sia mai una buona idea, e che solo un professionista della salute mentale potrebbe esprimersi in merito, vorremmo qui fornire un elenco utile a tutti gli expat italiani, per comprendere alcuni dei sintomi più diffusi della depressione:
- Anedonia: difficoltà nel provare piacere mentre svolgi attività che solitamente ti fanno stare bene;
- Repentini mutamenti di peso, o variazioni nella percezione di appetito;
- Umore depresso per periodi di tempo prolungati (giorni, settimane, mesi);
- Difficoltà nell’addormentamento o in generale nel sonno;
- Decremento delle funzioni cognitive (velocità di pensiero, problem solving, concentrazione);
- Pensieri intrusivi, marcata diminuzione dell’autostima;
- Pensieri suicidari (in situazioni particolarmente gravi);
- Sentimenti di colpa costanti inspiegati.
L’ultimo punto è di particolare importanza nel caso degli espatriati italiani all’estero. Nel fenomeno dell’expat Guilt, infatti, il senso di colpa viene generato dalla pandemia, un evento che sfugge ad ogni controllo, impossibile da prevenire. I sintomi sopra citati potrebbero essere invalidanti, e compromettere il funzionamento quotidiano dell’individuo. Per esempio, un umore depresso per periodi prolungati potrebbe portare ad una crescente difficoltà nelle relazioni sociali, fino ad arrivare al deterioramento dell’autostima e al ritiro sociale.
Andremo ora ad approfondire alcuni aspetti scientifici, utili a comprendere il binomio expat e depressione.
Expat e depressione: aspetti bio-psico-sociali
La risposta è quasi scontata: per stare bene o prevenire eventuali patologie occorre agire sulle tre variabili. Andiamo a scoprire come un expat, che si trovi a centinaia se non migliaia di chilometri da casa, potrebbe coltivarle in modo scientifico.
La scienza è chiara: esistono alcune attività fondamentali, utili sia nella gestione che nella prevenzione dell’umore depresso. Riprendiamo il modello appena citato, e andiamo con ordine, partendo dalla parte BIO. L’attività fisica, moderata e continuativa, ha un impatto positivo sui sintomi depressivi. L’Alameda County Study (Camacho, T. C., Roberts, R. E., Lazarus, N. B., Kaplan, G. A., & Cohen, R. D. (1991). Physical activity and depression: evidence from the Alameda County Study. American journal of epidemiology, 134(2), 220-231.) ne è un esempio rilevante, e testimonia di come lo stile di vita possa influire direttamente sulla salute mentale dell’essere umano.
Passiamo ora alla prossima variabile: Psico. Conosci quel detto “tu sei il miglior psicologo di te stesso” ? Sappi che non è così. Se ne senti il bisogno, contattane uno formato e abilitato, poiché rappresenta la migliore scelta, per chiunque voglia prendersi cura della propria salute psicofisica. La terapia psicologica è particolarmente indicata nei casi nei quali il disagio diventi insostenibile. Quando la depressione clinica produce una mancanza di efficacia percepita, di gioia e di voglia di vivere, lo psicologo è sempre una buona idea.
Al terzo posto, ma non per minor importanza, troviamo la variabile Sociale. Per l’expat, a causa di fattori differenti (barriere linguistiche, impossibilità di tornare a casa) è più comune cadere in difficoltà nel relazionarsi con un nuovo contesto. Alcuni consigli utili per coltivare la socialità possono riguardare il rimanere in contatto con amici e parenti, o cercare il partecipare ad eventi in presenza – o digitali – promossi dal paese ospitante.
Il miglior modo per curare la depressione
Nei casi nei quali la depressione non sia dovuta ad un abuso di farmaci o sostanze, il miglior metodo per curarla è rivolgersi ad un professionista della salute mentale: lo psicologo. Per l’italiana/o all’estero, però, potrebbe risultare difficoltosa la ricerca di psicologi coi quali confrontarsi nella propria lingua madre. Come superare eventuali barriere linguistiche? La soluzione è in realtà semplice, e “figlia” dei nostri tempi, sempre più votati alla tecnologia.
Dal 2020 ad oggi il mondo ha assistito ad un balzo in avanti importante verso la digitalizzazione dei servizi. Così come altre figure professionali, anche gli psicologi si sono adattati, approdando nel mondo online con ottimi risultati. Dati alla mano, la terapia psicologia online non presenta controindicazioni, e vede un’efficacia paritaria rispetto alla terapia de visu. Noi di Helpmeout offriamo servizi di terapia individuale con primo colloquio gratuito, volta al miglioramento del benessere mentale. I membri del nostro team lavorano ogni giorno con expat italiani che risiedono sia in Europa che in altri continenti. Non esistono problematiche di serie A e di serie B: se ne senti il bisogno, non esitare a contattarci. Ricorda: life is too short to be unhappy.
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