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Sindrome di ulisse: Ricominciare da zero all’estero

Cosa hanno in comune Ulisse e gli Expat, i giovani talenti costretti ad espatriare per cercare migliori opportunità lavorative?

Molti sono i motivi che potrebbero spingere una persona ad andarsene, a ricominciare da zero in un paese estero. Il desiderio di vivere esperienze differenti, di entrare in contatto con culture stimolanti. Oppure, in circostanze obbligate come la ricerca della libertà finanziaria impossibile nel paese di residenza. Nella stragrande maggioranza dei casi, la destinazione prescelta è poco conosciuta, o addirittura ignota. E altrettanto spesso l’unica compagna di viaggio, amaro frutto del cambiamento di contesto in essere, è la paura di ciò che non di conosce.

Ri-partire in una nuova realtà rappresenta un’esperienza potenzialmente sconvolgente per l’individuo, nel bene e nel male. All’iniziale crisi, dovuta al misurarsi con sfide quotidiane impensabili prima di partire, si avvicenderà l’adattamento. Il momento di transizione è però delicato, e se non affrontato nel migliore dei modi potrebbe impattare negativamente sulla salute psicologica.

Celebri sono i casi degli expat italiani all’estero che a causa di numerose difficoltà riscontrate nei “nuovi mondi” testimoniano ansia, ritiro sociale e sintomatologie depressive. Se anche tu provi – o hai provato – simili sensazioni, allora nella guida di oggi potrai trovare alcuni spunti utili. E ora, basta chiacchiere: addentriamoci, col l’ausilio della scienza, nel mito. Cosa hanno in comune un expat e Ulisse, l’eroe dell’odissea?

 

La sindrome di Ulisse

Chi non ha mai sentito nominare Ulisse, il principe di Itaca? L’eroe greco che dopo la guerra di Troia intraprese un interminabile viaggio verso casa. Interminabile perché l’uomo, sia per sua sete di curiosità che per volere divino, esplorò territori ignoti al genere umano. In una delle ultime tappe, la bella e immortale ninfa Calipso se ne innamorò e lo costrinse a passare sette anni in sua compagnia.

Soffermiamoci su quest’ultimo punto: sette anni di stressante prigionia, con l’unico desiderio di tornare verso l’amata Itaca per abbracciare il figlio Telemaco e la moglie Penelope. Imbrigliato in un contesto straniero, senza possibilità di socializzare se non con chi ne deteneva la prigionia. Ulisse rappresenta in tutto e per tutto l’emigrante che, obbligato da cause più grandi di lui, deve confrontarsi con un mondo straniero. Un universo del quale non conosce regole, usi e costumi, ma che allo stesso tempo è per forza di cose costretto a vivere.

E forse proprio per questo gli scienziati psicologi, in special modo Joseba Achotegui, attribuirono al disagio psicologico del migrante il nome di Sindrome di Ulisse. La separazione forzata dal proprio contesto, la paura di non farcela o di non riuscire ad integrarsi all’interno della nuova realtà. Sarebbe lecito citare la sindrome di Ulisse solo in casi estremi, dove il migrante sperimenta livelli di stress così intensi da essere ritenuti al di là della capacità di recupero umana. E non basta: tali livelli di stress dovrebbero essere mantenuti per periodi di tempo prolungati. Nel caso dell’expat, è possibile parlare di Sindrome di Ulisse? In un certo senso, si.

 

Il caso degli expat italiani durante la pandemia

Il contesto è una risultante che rappresenta molto più della somma delle singole parti.

L’insieme di unità, ruoli e relazioni che lo compongono è un equilibrio incostante, dove il mutamento di un’unica variabile può in potenza stravolgere il risultato totale. Come ricordato dall’ultima guida sulla pandemic fatigue, il Covid ha rappresentato un’importante fonte di distorsione socio-culturale.

Da un giorno all’altro, le certezze sociali sono state completamente cancellate. Così, tanti espatriati italiani non hanno potuto fare ritorno alle loro famiglie, come Ulisse.

Molti si sono sentiti prigionieri, in balia di un fenomeno immenso. E questo indipendentemente dalla natura dell’iniziale motivazione del cambiamento contestuale. I sintomi di tali obblighi riguardano, appunto, la salute psicologica. Alcuni dei sintomi più frequenti riscontrabili possono essere:

  1. Ansia o stress eccessivi, attacchi di panico;
  2. Apatia, senso di impotenza e rassegnazione;
  3. Pensieri intrusivi legati a preoccupazioni eccessive;
  4. Difficoltà nel ricostruire una rete sociale;
  5. Disturbi psicosomatici di varia natura.

Il repentino cambiamento del contesto culturale contribuisce a generare un forte senso di disorientamento iniziale, denominato dagli esperti shock culturale. Ribadisco che il provare uno o più di questi ultimi sintomi non significa essere psicopatologici.

Altrettanto vero è che, in caso di incertezza, non avrebbe senso tentare di autodiagnosticarsi attacchi di panico o disturbo depressivo maggiore.

Solo un professionista sarebbe in grado di fornire una diagnosi accurata, e/o di supportare in modo funzionale la persona.

Certo, intraprendere una nuova vita non è impossibile e c’è chi ce l’ha fatta da sola/o senza alcun problema. Altri, invece, hanno preferito essere supportati in quel delicato periodo di transizione descritto in precedenza, situato tra ansie iniziali e adattamento.

Ricominciare da zero all’estero, e salute psicologica

Alcuni attribuiscono a Jean Piaget, celeberrima figura in ambito psicologico, la seguente frase:

Sfortunatamente per la psicologia, tutti pensano di essere psicologi

Che sia stato Piaget a pronunciarla o meno ha poca importanza. Ciò che più importa è la rilevanza di tali parole, oggi più che mai veritiere.

Se è vero che la salute non è assenza di malattia, bensì un equilibrio di benessere fisico e mentale, sarà necessario rivolgersi ad esperti professionisti in caso di disagio psicologico.

Quello della terapia rappresenta per l’expat, moderno Ulisse obbligato a gestire situazioni difficili, un supporto molto utile.

Il rapporto con un professionista fornirà alla persona strumenti indispensabili per gestire situazioni di disagio, emozioni, ansia e stress.

Sarà inoltre possibile sviluppare determinate competenze di vitale importanza in ogni situazione, come la resilienza. Quel piegarsi ma non spezzarsi dinanzi ad eventi stressanti può infatti essere appreso.

Prima di concludere, è necessaria un’ulteriore considerazione. Il supporto online, nel caso degli italiani all’estero, assume un ruolo centrale. La possibilità di potersi esprimere nella propria lingua eliminerà eventuali difficoltà legati a barriere linguistiche.

E, lascia che te lo ricordi, l’efficacia della terapia online è scientificamente supportata da numerose ricerche.

La metanalisi di Barak e colleghi, che prese in considerazione studi per un campione totale di 9,764 persone rivoltesi a psicologi e psicoterapeuti per i più disparati motivi (autostima, elaborazione del lutto, ansia, depressione, etc…) supporta fortemente la forza delle modalità terapiche a distanza.

E ovviamente, a causa della pandemia, interventi simili hanno dimostrato la loro validità sul campo, diventando sempre più comuni e richiesti.

Ricominciare da zero all’estero, o comunque in contesti nazionali sconosciuti, è quindi possibile.

Puoi decidere di farlo in autonomia contando unicamente sulle tue forze, oppure di essere supportata/o da un terapista esperto. La scelta, come sempre, è soltanto tua.

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