
Benessere mentale del lavoratore: conseguenze per le aziende
La depressione, così come tanti altri disordini mentali, viene spesso citata come esempio di disagio psicologico. In alcuni periodi dell’anno, assieme ad “ansia”, rappresenta una delle parole più cercate sui motori di ricerca in Italia. E di certo non c’è da stupirsi che questo sia uno di quei periodi.
I vari lockdown, la guerra in atto e la conseguente crisi hanno portato una depressione a tutto tondo, tanto economica quanto umana. Non tutti sanno però che i costi del disagio psicologico sono sempre stati molto elevati anche negli anni precedenti, e a doverli gestire sono in primis le aziende.
Si, perché le aziende sono fatte di persone. Di individui che, per motivi legati all’ambiente lavorativo o di vita privata possono vivere un disagio psicologico che comporterà sul lungo periodo un maggior assenteismo dal lavoro, o nella peggiore delle ipotesi l’insorgenza di malattie cardiovascolari come l’ipertensione arteriosa.
Nella guida di oggi approfondiremo prima il legame tra depressione e benessere del personale e collaboratori. In seconda battuta, invece, analizzeremo a fondo quali potrebbero essere le conseguenze di una attenta gestione della salute psicologica dei lavoratori. In ultimo, forniremo una soluzione professionale, validata scientificamente e pratica ai problemi riportati.
Come la depressione influenza il benessere mentale del lavoratore
Il disagio psicologico in ambiente aziendale è molto più diffuso di quanto si pensi. Molto spesso ci si dimentica che le persone sono l’azienda, e che irrimediabilmente se a stare male saranno le persone i risultati sul lungo periodo coinvolgeranno anche la realtà aziendale. Le principali difficoltà legate alla salute mentale riguardano l’ansia, lo stress lavoro correlato e relative malattie cardiovascolari.
Proprio così: il fattore psicologico si ripercuote nel fisico, portando a quella che viene definita clinicamente con il termine “somatizzazione“. Somatizzare può portare a ulcere, emicrania, mal di testa ricorrenti, cardiopatie, infarti e asma. Oltre a tali sintomi, è possibile citare anche stanchezza e dolori cronici inspiegabili ai primi esami fisici, poiché l’origine è appunto psicologica.
Ciò che viviamo e pensiamo è in grado di influenzarci pesantemente, inducendo le persone a possibili stati di passività. Essere depressi può significare anche questo. Non ci stancheremo mai di ribadirlo: come riporta l’OMS (organizzazione mondiale della sanità), la salute dovrebbe essere intesa non come assenza di malattia, bensì come uno stato di benessere mentale, fisico e sociale.
Vivere una situazione poco stimolante, nella quale per molti motivi possono emergere insoddisfazione, ansia legata al futuro o depressione. La persona, senza gli strumenti o il supporto di professionisti qualificati, potrebbe peggiorare sempre di più, assentandosi dal luogo di lavoro. E la scienza supporta fortemente tali teorie. Nella ricerca di Donald e colleghi del 2005, svolta su un campione di 16.000 persone, il benessere psicologico è stato messo al primo posto come fattore predittivo della performance lavorativa.
Dato quindi per assodato che la salute mentale possa influenzare pesantemente il benessere dei lavoratori, andiamo ora ad analizzare nel dettaglio come il fattore psicologico possa influenzare in positivo o negativo le organizzazioni.
Come il benessere mentale del lavoratore influenza le aziende
La ricerca “Depression: cost-of-illness studies in the international literature, a review” di Patrizia Berto e colleghi (2000) ha preso in considerazione un elevato numero di studi svolti su più aree geografiche del mondo tra le quali la Spagna, gli USA, l’Inghilterra e l’Italia. Il costo della depressione è stato comparato con le maggiori malattie croniche, come l’Alzheimer, il cancro, l’osteoporosi e alcune diagnosi psichiatriche come la schizofrenia.
La depressione rappresenta una delle patologie più significative, classificandosi al sesto posto delle malattie che comportano costi maggiori. In termini economici:
Janssen Italia
E questo prima che la pandemia impattasse su milioni di vite. A sottolinearlo è ancora una volta l’organizzazione mondiale della sanità che il 10 maggio 2022 pubblica un documento importante, che testimonia l’aumento globale di ansia e sintomi depressivi del 25%. Paesi europei e non hanno preso precauzioni importanti, tra le quali possibilità economiche per i singoli come in Italia il Bonus Psicologo.
Inutile negarlo: il contesto è difficile, e i grandi cambiamenti epocali avvenuti hanno messo in luce una grande verità: il benessere psicologico è insostituibile, e bisogna prendersene cura. Quale potrebbe essere una buona soluzione aziendale, per tutelare dipendenti e soddisfazione lavorativa?
La soluzione: cosa può fare HelpMeOut per la tua azienda
La salute mentale dovrebbe essere una priorità. Se è vero che le aziende sono fatte di persone, e che prendersi cura del proprio disagio psicologico porta innegabilmente benefici alle persone, allora saranno anche le realtà aziendali a beneficiarne. A supporto di tale ipotesi, come hai potuto vedere dagli scorsi paragrafi, ci sono articoli scientifici pubblicati su riviste internazionali e dati di ricerca e sviluppo da enti accreditati.
In ultimo, c’è la nostra esperienza diretta. Noi di HelpMeOut siamo una realtà giovane e professionale, che si pone come partner affidabile al fianco delle aziende che percepiscono il benessere mentale dei loro dipendenti come prioritario. Offriamo piani personalizzati, garantendo il massimo rispetto della Privacy, un team numerosi di professionisti altamente qualificati, e un servizio di alto livello interamente online.
Il nostro team di terapisti si mette in gioco costantemente, fornendo ogni giorno supporto al benessere mentale dei lavoratori di molteplici realtà. Per saperne di più, visita la pagina dedicata al supporto aziendale, o contattaci direttamente alla mail hello@helpmeout.it.
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Il metodo scientifico per raggiungere qualunque obiettivo
Esiste un metodo scientifico utile a raggiungere qualunque obiettivo. Un metodo ormai famoso, che è stato citato ed applicato in differenti realtà: dalla psicologia alla finanza, al mondo dello sport di alto livello o in ambiti di formazione aziendale. E chissà, probabilmente ne hai già sentito parlare, forse no. Oggi vorrei descrivertelo minuziosamente, per darti la possibilità di applicarlo sin da subito.
Certo, sin da subito si fa per dire. I motori di ricerca come Google pullulano di articoli e guide che offrono soluzioni semplici a problemi complessi. Raggiungere l’obiettivo che ti sei prefissata/o non è un affare banale. Ottenere risultati, che si tratti di benessere fisico, mentale o di prestazione è sempre difficile. Se tuttavia arriverai alla fine di questa guida, avrai un’arma in più da poter utilizzare.
Come sempre, ti ricordo che le informazioni citate nelle nostre guide hanno carattere puramente informativo e non possono in alcun modo sostituire il parere di un esperto. Se ritieni di aver bisogno di un supporto qualificato, puoi consultare lo spazio dedicato. Concentriamoci ora sull’argomento di oggi: come affrontare, nel modo corretto, la scalata verso il raggiungimento di mete per noi importanti?
Come raggiungere qualunque obiettivo
Sembra una semplificazione forzata, ma non la è. Il metodo che sto per descriverti si articola in cinque punti, cinque caratteristiche che se affrontate con consapevolezza rivelano una profonda complessità. Devi sapere infatti che un obiettivo degno di tal nome dovrà per forza di cose soddisfare tali caratteristiche. Se agisci senza rispettarle, aumenterai la probabilità di fallimento. Se, al contrario, riuscirai ad impostare una meta con tali requisiti, aumenterai in modo sostanziale le probabilità di raggiungerla.
Specifico
Partiresti mai per un viaggio, senza sapere dove stai andato e quanto distante sarà la meta? L’approssimazione è il nemico giurato del successo. Per questo, dovrai configurare un obiettivo specifico, che sei in grado di visualizzare con precisione nella tua mente. Per intenderci, affermare di voler dimagrire non è abbastanza specifico. Affermare invece di voler perdere cinque kg in tre mesi è decisamente più specifico e chiaro, e quindi maggiormente raggiungibile.
Misurabile
Misurare è fondamentale, perché permette di comprendere se e come la nostra strategia ci stia avvicinando al risultato finale. Riprendendo di nuovo l’esempio del dimagrimento, sarà necessario misurare i propri progressi nel tempo. Se dopo due mesi non avrò perso mezzo kg, difficilmente sarà possibile perderne cinque nei due mesi successivi. Lo stesso vale per obiettivi differenti (apprendimento, prestazione, etc…).
Raggiungibile
Il tasto dolente, che molto spesso non viene preso in considerazione. Un obiettivo considerato raggiungibile non sarà né troppo difficile, né troppo semplice, ma appunto sfidante. Per avere la sensazione che un obiettivo sia realmente sfidante per noi, dovremo fermarci e prendere coscienza delle competenze utili allo scopo. Purtroppo molte persone intraprendono una strada senza possedere le competenze necessarie richieste, ma se ne accorgono solo in un secondo momento. Così, mete considerate raggiungibili con quel “basta un po’ di impegno” si rivelano crepacci senza scampo, dai quali è impossibile uscire. Non commettere questo errore, verifica sempre con la massima attenzione.
Rilevante e realistico
Immagina di essere costretto ad assistere, tutti i giorni, ad una lezione di una materia per te inutile. Ammesso che tu lo faccia controvoglia, imparerai pochissimo (se non nulla) e inizierai ad associare a quella materia emozioni negative. Un obiettivo deve per forza di cose essere rilevante per te, altrimenti non avrai mai la giusta dose di motivazione per perseguirlo nel tempo. Allo stesso modo dovrà essere realistico e plausibile in base alla situazione. Se hai giocato per tutta la vita a tennis, difficilmente potrai diventare un giocatore della nazionale italiana di calcio.
Stabilito nel tempo
Inserire una tempistica ti aiuterà senz’altro. Non sottovalutare l’importanza di una strategia che tenga conto anche di vincoli temporali, perché senza di essi ti perderai molto più facilmente. Stabilire un calendario, inoltre, sarà facilitante nel rendere misurabile il cammino verso la tua meta.
Se dovessimo tradurre questi ultimi cinque punti in inglese, otterremmo S (specific) M (Measurable) A ( Achievable) R (Realistic) T (Time-Bound). Il metodo viene appunto denominato SMART. E questa è la teoria. Sembra facile, vero? Certo, sembra… ma poi la realtà dei fatti stupisce sempre. Prendiamo il caso dei famosissimi “buoni proposti” dell’anno nuovo. Perché falliscono?
Obiettivi nella vita di tutti i giorni
Il metodo SMART può sicuramente aiutarti a raggiungere qualunque obiettivo tu abbia in mente. Ciò che devi tenere bene a mente, però, è che sarai tu a fare la differenza, non il modello o le teorie applicate. Saper essere motivati fino alla fine è una scienza, e non figlia di improvvisazione. E no, nel caso te lo stia chiedendo, no… le citazioni motivazionali NON BASTANO. A volte le persone non dispongono delle risorse personali necessarie per ottenere ciò che vorrebbero.
Un calo motivazionale al lavoro, in contesti sociali o più in generale nella vita quotidiana non va sottovalutato. In questo, appare senz’altro utile il supporto di un terapista. Non tutti sanno infatti che lo psicologo è utile anche a chi, in assenza di patologia, voglia migliorare se stessa/o. La crescita personale parte dalla consapevolezza che si possa sempre migliorare, se affiancati dalla giusta figura. E quando si parla di obiettivi e motivazione, chi meglio di un professionista della mente può aiutarti?
Come ricordato nella guida su come mantenere accesa la flebile fiamma della motivazione, non è sempre possibile essere motivati e pronti a dare il massimo. Ecco perché anche gli obiettivi pianificati con minuziosità e impegno hanno comunque un margine di errore. Disporre di un supporto professionale altamente qualificato, anche per pochi incontri, ti fornirà un punto di vista esperto importante dal quale partire per ottenere risultati superiori. Per essere pronto ad affrontare i momenti più delicati che, se gestiti con metodo e intelligenza, verranno trasformati da ostacoli a fonti dalle quali trarre ispirazione.
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Cosa fare quando la motivazione cala?
Cosa fare quando la motivazione cala sotto i piedi? Quando, nonostante un grande impegno profuso non riesci a sentirti in linea con il raggiungimento dei tuoi obiettivi?
La motivazione è un concetto trasversale, ricorrente nell’esistenza delle persone in ambiti differenti. Nello sport, a scuola, durante gare di qualunque tipo o nella vita lavorativa degli individui. Tutto ciò che è accessibile affascina l’essere umano, animale sociale per eccellenza e portato alla condivisione. E la motivazione, così come tanti altri costrutti psicologici, è tremendamente accessibile.
Chiunque potrebbe descriversi come motivato o al contrario demotivato per una serie di motivi personali e/o oggettivi. In quanti, però, saprebbero darne una definizione corretta? La comprensione dei fenomeni è la chiave per sapere come comportarsi per prevenire situazioni difficili. Per esempio, uno terapista professionista possiede una conoscenza profonda della motivazione, e sa come aiutare le persone in difficoltà a ritrovarla.
Tali competenze sono dovute a pratica e teoria apprese sul campo in anni e anni di esperienza. Nella guida di oggi troverai informazioni che ti saranno sicuramente utili a fare il primo passo verso una conoscenza consapevole di questo costrutto che ha da sempre affascinato, ed è altrettanto stato banalizzato da non addetti ai lavori. Scopriamo di più insieme, partendo da un’esperienza comune: il lunedì mattina.
Storie svogliate del lunedì mattina
Il lunedì mi alzo, e non ho voglia. Non di qualcosa in particolare, non ho voglia e… basta. Di andare al lavoro, di incontrare capo e colleghi con i quali litigo spesso. Se potessi, rimarrei a casa a guardare serie Tv tutto il giorno. Ho letto alcuni articoli su internet su cosa fare quanto si perde la motivazione, e ho persino applicato i consigli di quei presunti esperti. Tutto inutile. E alla fine mi è pure passata la voglia di leggere…
La motivazione è una fiamma che si estingue facilmente, se non sai come tenerla accesa. Il problema appunto sollevato in precedenza è che le persone non hanno idea di come essa si alimenti. Prima di dare “consigli”, è necessario sapere che un calo motivazionale potrebbe essere interpretato come sintomo di disagio psicologico. In casi di abulia (mancanza di volontà nel compiere un’azione) potrebbe essere presente una potenziale depressione dovuta a molteplici cause.
Devi sapere poi che la scienza psicologica è costellata di teorie su come gestire la motivazione.
Una delle più famose consiste nel distinguere tra:
- Motivazione intrinseca (la persona è spinta a mettere in pratica determinati comportamenti per una spinta che viene “da dentro”)
- Motivazione estrinseca (la persona è spinta a mettere in patica determinati comportamenti per una spinta che viene “da fuori”).
Un esempio di motivazione intrinseca potrebbe riguardare un giovane che, percependo un salario minimo, si impegna con tutto se stesso per apprendere il lavoro dei suoi sogni. Al contrario, un classico esempio di motivazione estrinseca riguarda il dipendente che accetta la permanenza in un contesto lavorativo insopportabile per lo stipendio.
Pare chiaro che in ambito lavorativo avere dei collaboratori motivati in maniera intrinseca porti a risultati superiori sia in termini di loro soddisfazione lavorativa, che di obiettivi di business.
Un’altra molto citata teoria motivazionale riguarda i bisogni dell’essere umano. Secondo McClelland saremmo motivati nell’agire da tre bisogni principali:
- Successo (bisogno di ottenere risultati positivi nella vita e nel lavoro);
- Potere (influenza sugli altri, intenso desiderio di ruoli di Leadership);
- Affiliazione (attribuire molta importanza all’ambiente sociale).
In breve, ognuno di noi sarebbe spinto nell’agire per ottenere
Cosa fare (per davvero) quando la motivazione cala?
Mettitelo bene in testa: non sottovalutare MAI i cali motivazionali. Per parlare di tale costrutto non basta aver letto un libro divulgativo che ne parla, o aver seguito un corso online. Perché appunto, si tratta di un fenomeno accessibile, ma di certo non banale. Il rischio di fare più male che bene affidandosi ad amici e improvvisati è elevato. Noi tutti mangiamo, navighiamo sui social e proviamo emozioni e sentimenti. Attenzione però: così come la singola azione del mangiare non ci porterà ad essere nutrizionisti, il semplice provare emozioni non farà di noi degli psicologi.
Ecco allora alcune risposte a domande apparentemente semplici, ma che se adeguatamente analizzate mostrano una concreta complessità:
Cosa si intende con “motivazione”?
Se dovessi dare una definizione semplice ma precisa del termine, direi che la motivazione è quel motore primario che spinge le persone a mettere in atto determinati comportamenti. La difficoltà principale è che quando le persone mettono in atto quel comportamento, non sono pienamente consce del “perché” lo stiano facendo. Intraprendere un percorso con un terapista esperto può sicuramente aiutare.
Come si fa a trovare la voglia di fare?
Sapersi auto-motivare è una scienza, non figlia di improvvisazione. Difficilmente basterebbe leggere due righe o una citazione per sentirsi meglio, perché appunto dietro ad una mancanza di voglia di fare potrebbero nascondersi ben più gravi affari.
Cosa fare quando manca la motivazione
Quando cadi e ti fratturi un polso hai due opzioni: recarti in ospedale e farti assistere da un medico esperto oppure attendere che le ossa si mettano a posto da sole. Nel secondo caso, avrai una maggior probabilità di incorrere in ricadute e di aggravare la tua situazione. Allo stesso modo, quando senti di “non averne abbastanza puoi intraprendere un percorso di terapia online o dal vivo, oppure aspettare che la motivazione ritorni da sola. Indovina quale delle due opzioni è più proficua?
Come hai potuto comprendere, sarebbe davvero difficile fornire consigli opportuni a chi, disperato, si chiede cosa fare quando la motivazione cala senza conoscerne la storia. Una delle abilità che può favorire la rinascita di quella voglia di fare che tiene svegli la notte potrebbe è senz’altro il goal setting. La capacità di porsi obiettivi in modo semplice e chiaro, spezzettando un macro-goal inizialmente impossibile, in tante piccole mete raggiungibili. Approfondiremo l’argomento in una delle prossime guide. Nel mentre, ricorda: se hai bisogno di un supporto qualificato, noi siamo qui per aiutarti.
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Perché sapersi arrabbiare è importante?
La rabbia è un’emozione diffusa e fondamentale per la sopravvivenza e per il benessere, sia in passato che nel contesto moderno. Certo, arrabbiarsi nella gran parte dei casi risulta semplice (anche troppo), e non è difficile perdere il controllo esibendo condotte offensive verbali e fisiche (o entrambe) . Come al solito, l’efficacia sta nel mezzo. Riprendendo la legge di Yerkes Dodson, a performance al meglio sarà l’individuo né troppo rilassato, né troppo stressato. Ed è così anche nel caso della rabbia: la risposta emotiva dev’essere certamente espressa, ma entro determinati limiti.
Secondo le ultime ricerche, arrabbiarsi in continuazione e manifestarlo o al contrario reprimere i propri sentimenti predispone a pericoli per la salute dell’organismo. Ricordandoti che le informazioni che troverai nella guida di oggi, e sul blog di Helpmeout, hanno carattere puramente informativo e non possono sostituire il parere di un professionista della salute, ti esorto a continuare a leggere.
Così come numerosi fenomeni studiati dalle scienze psicologiche (Resilienza, la somatizzazione, e tantissimi altri), anche la rabbia viene spesso banalizzata. Per comprendere appieno il concetto scientifico e i rischi di una mancata abilità di gestione, è necessario partire da molto lontano.
Una storia, mille emozioni
Si potrebbe affermare che il 1972 fu un anno “storico” per molteplici motivi. Il tre febbraio vennero inaugurate le indimenticabili olimpiadi invernali di Sapporo. Il 14 Marzo a Segrate, in provinciali di Milano, venne ritrovato il corpo senza vita di Giangiacomo Feltrinelli, fondatore dell’omonima casa editrice che conosciamo tutt’oggi. Il 7 novembre il controverso Richard Nixon fu rieletto come presidente degli USA per la seconda volta.
Oltre a questi, e a molti altri avvenimenti di importanza sportiva, sociale e politica, il 1972 fu un anno fondamentale per lo sviluppo degli studi sulle emozioni. Paul Ekman intraprese un lungo viaggio verso la Nuova Guinea, per mostrare che gli stati emotivi non fossero determinati dal contesto culturale, provandone il carattere universale. Oggi sappiamo che le emozioni hanno un’origine biologica, e che sono state importantissime tanto per lo sviluppo, quando per il benessere dell’essere umano.
Se i nostri avi sono riusciti a sopravvivere in ambienti difficili, a contatto con specie ostili, è anche grazie a quell’istinto rabbioso, fortemente adattivo. Ma il sapersi arrabbiare è fondamentale anche oggi, nelle relazioni di coppia o amicali. È semplice intravedere tale emozione dietro a comportamenti vendicativi con una causa ben specifica. In altri casi, invece, una situazione difficile genera in noi un disagio psicologico espresso arrabbiandoci con persone che non hanno nulla a che fare con la causa scatenante. A volte, riconoscere cosa si nasconda dietro ad azioni colleriche è più difficile di quanto sembri. Come comportarsi?
Cosa si nasconde dietro la rabbia?
L’arrabbiarsi fa parte dell’esperienza di vita di ogni individuo, e nonostante la matrice universale, ognuno di noi può esprimere la propria rabbia in differenti modi e “prendersela” per altrettanti differenti motivi. Alcune delle azioni che possono provocare rabbia potrebbero essere:
- Davanti al fallimento o al mancato funzionamento di supporti che utilizziamo nella quotidianità (Televisore, smartphone, macchina, etc…);
- In contesti dove le azioni di altri possono determinare un risultato sfavorevole o risvolti negativi (sconfitte in sport di squadra, ritardi dovuti a traffico metropolitano);
- Nel rapporto di coppia, tentativo da parte di uno dei due partner di imporre il proprio volere;
La rabbia nei rapporti di coppia
Nei rapporti amorosi o amicali può accadere che ci si lasci travolgere dalla collera. Se eccessiva, la rabbia può essere un ostacolo insormontabile e sfociare in una crisi di coppia. In casi simili, sarebbe necessario evitare di dileggiare l’altra persona colpendola in punti di discussione sensibili, prediligendo il dialogo costruttivo. Allo stesso modo, però, è altrettanto utile non reprimere i propri sentimenti perché come ben illustrato nel prossimo paragrafo, far finta di niente potrebbe contribuire a sviluppare patologie cardiovascolari.
Cosa succede a chi è sempre arrabbiato?
Come citato in precedenza, uno stato di collera sempre presente può generare conseguenze di disagio tanto psicologico quanto fisico. Kubzansky e colleghi, in uno studio del 2006 hanno evidenziato una forte correlazione tra rabbia, asia e depressione e disturbi cardiovascolari (Coronariopatia). La rabbia quindi, se costantemente provata, aumenterebbe il rischio di infarto. Attenzione però: tali rischi si corrono sia nei casi in cui la rabbia si manifesti, sia che rimanga nascosta. Inoltre, da situazioni simili può originare un forte disagio psicologico, che tende a manifestarsi sotto molteplici forme:
- Difficoltà nelle relazioni sociali;
- Diminuzione dell’autostima percepita;
- Sbalzi d’umore, ansia e depressione.
Prendersi cura di se stessi è fondamentale, e di certo esistono alcuni rimedi e strategie utili a migliorare la situazione prevenendo tali sintomi. Per esempio, nei casi in cui la rabbia sia un’espressione di carichi di stress elevati, l’esercizio fisico costante potrebbe essere una buona idea. Non sempre però la persona, o la coppia, dispone dei mezzi per superare eventuali problemi o disagio. Quale potrebbe essere la miglior strategia per imparare a gestire la rabbia? La risposta, come spesso accade, viene dalla scienza.
Il miglior modo di gestire la rabbia
Sapersi arrabbiare è molto importante, e gestire la rabbia significa saperla esprimere entro determinati limiti senza eliminarla né esasperarla. Il metodo più efficace in tale ambito risulta essere la terapia psicologica. Sarebbe infatti possibile trovare una schiera di studi scientifici molto validi come la pubblicazione di Beck Fernandez e molti altri. Il contatto con un terapeuta rappresenta il primo passo consapevole verso la propria crescita personale. La gestione delle emozioni è un’abilità, che può essere appresa e conseguentemente utilizzata per stare meglio sia con se stessi, che con il proprio contesto sociale.
Se soffri di disagio psicologico dovuto a situazioni di mancato controllo, o se vorresti migliorare il rapporto con te stessa/o, apprendendo strategie utili al tuo benessere fisico e mentale, qui a Helpmeout potrai usufruire di un colloquio conoscitivo gratuito completamente online. Non dovrai fare altro che compilare il questionario, il quale esito ci permetterà di metterti in contatto con lo psicologo del nostro team più adatto alle tue esigenze. Non rimanere in balia delle tue emozioni, prenditi cura della tua salute psico-fisica. Life is too short to be unhappy.
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Esercizio fisico e benessere mentale
Esercizio fisico e benessere mentale costituiscono un binomio robusto, ricorrente nelle menti di illustri pensatori, filosofi e scienziati di ogni tempo. Il celebre “mens sana in corpore sano” ne è un esempio appartenente ad epoche passate, che viene utilizzato ancora ai giorni nostri, dopo secoli. Ed è forse nella nostra società che tale detto ha trovato supporto: negli ultimi anni sono state portate alla luce prove scientifiche di come l’allenamento possa favorire la salute psicologica
Ciò che risulta spesso difficile da comprendere è il nesso che unisce fisico e mente nella stessa figura: l’essere umano. In questa guida, con l’ausilio delle migliori ricerche pubblicate su riviste internazionali di scienze psicologiche, andremo ad approfondire di un argomento molto famoso sul web, ma quasi sempre frainteso.
Ti ricordo come al solito che le informazioni pubblicate sul blog di Helpmeout hanno carattere informativo, e non possono sostituire in alcun modo il parere di un professionista della salute mentale. Se ritieni di aver bisogno di un aiuto, puoi trovarlo qui. Compilando il questionario, ti metteremo in contatto con il terapista più adatto alle tue esigenze, con un primo colloquio online gratuito.
Torniamo all’argomento di oggi, con una domanda: l’attività sportiva può essere percepita come un utile strumento, se impiegato col fine di aumentare il benessere psicologico?
In che modo lo sport favorisce il benessere psicologico?
Nel corso della storia, il dualismo corpo-mente ha da sempre ricoperto un ruolo rilevante e senz’altro controverso. Secondo i filosofi greci, l’uomo avrebbe dovuto aspirare a due grandi obiettivi: la sanità del corpo e dell’anima. Tali nozioni avrebbero spinto gli antichi pensatori all’eccellenza corporea ed intellettuale, che oggi chiamiamo benessere psicofisico, fino ad approdare al detto latino prima citato.
Mens sana in corpore sano è una grande verità, ma deve essere letta con consapevolezza e contestualizzata. L’utilizzo moderno della locuzione, infatti, si discosta leggermente dal significato primario. Oggi, grazie alle numerose ricerche scientifiche esistenti, è possibile parlare di benessere psico-fisico inteso come uno stato di salute a tutto tondo. Il concetto viene citato in due ambiti principali:
- Prevenzione del disagio psicologico e gestione dei sintomi;
- Miglioramento della performance cognitiva (per esempio nel lavoro, nello studio, etc…).
Nella pubblicazione di Paluska e Schwenk, i due autori sottolineano il fatto che l’attività fisica, sia essa aerobica che anaerobica, possa giocare un ruolo importante nella gestione di alcuni sintomi di disagio psicologico, come per esempio l’ansia e gli attacchi di panico. Un altro studio interessante evidenzierebbe il fatto che alcuni protocolli di allenamento specifici possano essere utilizzati sia come prevenzione, ma anche inseriti in programmi riabilitativi come supporto alle classiche terapie.
Approfondendo invece il binomio sport-performance cognitiva scolastica, è utile citare la ricerca Physical activity and mental performance in preadolescents: Effects of acute exercise on free-recall memory pubblicata dalla professoressa Caterina Pesce e colleghi nel 2008. I risultati mostrerebbero di come lo sport potrebbe migliorare le prestazioni mnemoniche degli studenti.
I benefici dell’attività fisica sulla mente
I benefici dell’attività fisica sulla mente potrebbero essere:
- Miglioramento del tono dell’umore;
- Prevenzione e gestione di sintomi ansiosi;
- Prevenzione di sintomi depressivi;
- Riduzione dello stress;
- Promozione delle capacità di interazione sociale;
- Miglioramento della performance cognitiva nel lavoro, a scuola o in università.
Soffermiamoci su quest’ultimo punto, citando un’ulteriore ricerca. Castelli e colleghi, con una ricerca pubblicata su Journal of Sport and Exercise Psychology, sostengono che il benessere fisico sia altamente correlato con i risultati scolastici. E, come avrai ben compreso, potrei andare avanti per ore a citare altri studi con la stessa conclusione. Tali risultati, però, se da un lato mettono in luce gli effetti benefici dell’attività fisica, dall’altra potrebbero essere facilmente fraintesi oscurando l’importanza della parte psicologica.
Secondo il modello bio-psico-sociale, essere in salute significa scoprire ed allenare tre variabili fondamentali. Fisico, mente e relazioni sociali si influenzano a vicenda, e non devono intendersi come compartimenti stagni. Quindi, per stare bene e raggiungere il massimo della produttività sarà necessario allenarsi, ma anche prendersi cura della propria salute mentale a contatto con professionisti e coltivare la socialità in maniera attiva. L’attività fisica, quindi, contribuirà al benessere psicologico se integrata in uno stile di vita specifico. Quest’ultimo ragionamento ci riporta, di nuovo, al nostro detto latino: mens sana in corpore sano, certo, ma vale anche il contrario.
Mens sana in corpore sano e… viceversa
Alla luce della scienza, anziché affermare “mens sana e in corpore sano” sarebbe più corretto affermare “mens sana in corpore sano e viceversa”. Riprendendo il concetto di essere umano come entità psico-fisica, sarebbe corretto percepire esercizio fisico e benessere mentale come due punti sui quali intervenire in egual misura.
Per godere appieno della vita, è necessario prendersi cura di se stessi promuovendo ogni aspetto dello “star bene”. E certo, qui risulta tristemente semplice per molti scontrarsi con lo stigma nutrito nei confronti dei terapeuti. Il terapeuta rappresenta una soluzione concreta nei casi di disagio psicologico di qualunque entità, ma non solo.
Infatti, affermare che lo psicologo lavori esclusivamente con la patologia è una enorme bugia. Un esempio eclatante è l’impiego di professionisti della salute mentale nello sport e nelle realtà aziendali per il miglioramento della prestazione cognitiva e la gestione dello stress. Tali figure, inserite da sempre in tali contesti sono in grado di fornire competenze e skills anche a persone che, in assenza di disagio, vorrebbero migliorare la loro produttività e le loro performance.
Vorresti essere in salute, felice e pronto a gestire eventuali stati di umore penalizzanti (Ansia, depressione, bassa autostima, etc…)? Ecco la soluzione: sarà tanto necessario praticare attività fisica, quanto intraprendere un percorso di crescita personale con professionisti legalmente riconosciuti e adeguatamente formati sotto il profilo teorico/pratico.
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Dismorfismo corporeo: curarlo con la terapia psicologica
Quando si parla di dismorfismo corporeo, la mente del pensatore si rifugia in un immaginario collettivo costellato di estremi. Contribuiscono a tale risultato i numerosi articoli su Google che descrivono i dismorfismi come la percezione di parti del corpo come deformi o ripugnanti. Il fenomeno, tuttavia, presenta numerose sfaccettature difficilmente riassumibili in poche righe, e non si limita esclusivamente al percepire deformità.
Con le nostre guide sul mondo della salute mentale noi di Helpmeout vogliamo informare le persone rendendo accessibili a chiunque (per quanto possibile) tematiche psicologiche complesse. Il dismorfismo corporeo può rappresentare certamente una fonte di disagio importante, ma ad alcune condizioni specifiche delle quali i terapisti professionisti sono a conoscenza. Vorresti capirci di più? Allora ti consiglio di continuare a leggere. Prima, però, un avvertimento.
Come al solito, ti esorto ad evitare SEMPRE l’autodiagnosi. Certo, nella seguenti righe troverai informazioni rilevanti e link alle ricerche citate, pubblicate su riviste scientifiche di scienze psicologiche. Tali informazioni potranno esserti utili a comprendere in generale “come funziona”, ma non potrebbero in nessun modo sostituire il parere professionale.
Un terapista legalmente riconosciuto ha completato un iter formativo di anni, maturando conoscenze teoriche e pratiche sul campo (al contrario di chi ha studiato su Google). In ultimo, per quanto possa apparire scontato, è lecito sottolineare che ogni persona è diversa. Per questo, ogni caso di disagio psicologico presenta sfumature differenti, che se sottovalutate o gestite con improvvisati rischiano solo di peggiorare. Veniamo 0ra all’argomento di oggi: quali sono le caratteristiche di un disturbo da dismorfismo corporeo?
Cos’è il dismorfismo corporeo?
In alcuni individui la perdita dei capelli appare come un vero e proprio danno, dal quale è possibile che si originino situazioni difficili (mood depresso, decremento dell’autostima). La ricerca di Neda e colleghi, pubblicata nel 2014, supporta fortemente tale ipotesi. Secondo lo studioso, chi sperimenta una perdita di capelli potrebbe sviluppare un vero e proprio disagio psicologico che contribuirebbe a limitarne le interazioni sociali.
Ora, avere il timore di perdere i capelli o semplicemente curare il proprio cuoio capelluto con interesse non significa che una persona soffra di psicopatologia. Secondo il DMS-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), infatti, si potrebbe parlare di disturbo solo in presenza di una preoccupazione tale da non permettere all’individuo il normale svolgimento della vita quotidiana. Quali sarebbero i sintomi chiave, scientificamente riconosciuti?
Sintomi e caratteristiche diagnostiche del dismorfismo
La sintomatologia del dismorfismo corporeo potrebbero essere:
- Percezione del proprio aspetto come anormale, brutto o deforme;
- Eccessiva preoccupazione causata da tale percezione distorta;
- Sentimenti di vergogna o paura nel mostrare la parte del corpo interessata in pubblico;
- Bassi livelli di autostima.
Il disturbo da dismorfismo corporeo porterebbe la persona a controllare compulsivamente le presunte imperfezioni, che tuttavia gli altri individui non percepiscono come tali. A causa del sentimento di vergogna ed eccessiva preoccupazione, alcuni individui ricorrerebbero a trattamenti estetici (dermatologia, chirurgia estetica) che però secondo Katharine Phillips (Direttrice dei programmi “Body Dysmorphic Disorder” e “Body Image” al Butler Hospital e professoressa alla Psychiatry and Human Behavior at Brown Medical School a Providence a Rhode Island) non risolverebbero il problema.
Questo accade perché la causa di quel vedersi brutti o con difetti fisici anormali non sta nella parte del corpo in sé, bensì nella percezione personale di chi guarda verso lo specchio. In casi gravi, è possibile che tali disturbi generino pensieri suicidari. Ed è la stessa Philips precedentemente citata ad esplorare il medesimo aspetto in una pubblicazione del 2007, sostenendo che nelle persone con disturbo di dismorfismo corporeo, circa l’80% avrebbe almeno una volta pensato al suicidio, e circa il 25% lo avrebbe tentato.
Ad un disturbo da dismorfismo sono associati ansia, bassa estroversione, isolamento sociale e difficoltà emotivo-relazionali. Ciò che prima era semplice, viene percepito come difficile a causa di quel difetto ritenuto inaccettabile. Benché sia possibile che vengano ritenute dismorfiche una o più parti del corpo, nel DSM-5 è possibile trovare un particolare riferimento al dismorfismo muscolare.
In questa specifica tipologia di dismorfismo, che colpirebbe prevalentemente gli individui di sesso maschile, l’eccessiva preoccupazione riguarda la forma fisica. Il non ritenersi abbastanza muscolosi, o in forma. A costo di sembrare ripetitivo e noioso, aggiungo ex novo che curare il proprio aspetto fisico e allenarsi NON è da intendere come sinonimo di psicopatologia (prima di giungere a qualunque conclusione, consulta un esperto).
Quali potrebbero essere le cause del dismorfismo?
Chi cura il dismorfismo?
Come avrai certamente compreso, sia a causa delle informazioni qualitativamente rilevanti negli scorsi paragrafi, che dal titolo tendente allo spoiler, è possibile prendersi cura del dismorfismo attraverso la terapia psicologica.
É la prima volta che entri in contatto con noi? Allora lascia che ti spieghi come ottenere un colloquio online completamente gratuito. Per prima cosa, sarà necessario compilare un breve questionario dove potrai raccontarci la tua situazione, e le difficoltà che stai vivendo. Grazie a queste preziose informazioni, saremo in grado di consigliarti il terapeuta più adatto a risolvere le tue difficoltà.
Avrà così luogo il primo colloquio online, dove potrai renderti conto personalmente di quanto uno psicologo possa esserti utile. In seguito, avrai la completa liberta di decidere se e come proseguire. Non esiste disagio psicologico di serie A o di serie B. Se hai bisogno di una mano, grande o piccola che sia, contattaci: ecco il link al questionario. Life is too short to be unhappy.

Disturbi somatoformi: cosa sono e come intervenire
Il termine “disturbo somatoforme” nasce dalla commistione tra due concetti, appunto fisico e mentale. Sarebbe possibile definire i sintomi somatoformi come una “tensione interiore” che viene espressa tramite disagi fisico. Le persone che soffrono di tali disturbi tendono, almeno inizialmente, a cercare una spiegazione organica. Dinanzi a dolori specifici o malessere di carattere generale è di certo doveroso svolgere controlli e check-up, recandosi da medici generici e/o specialisti.
Se poi, a capo di tali esami, il medico rassicura il paziente sostenendo l’assenza di problematiche fisiche, la persona potrebbe non sentirsi presa sul serio, andando nuovamente alla ricerca di una spiegazione organica da differenti professionisti. Tali disturbi sono frequenti nella popolazione? Come affrontarli nel migliore dei modi?
Risponderemo ora alle domande che le persone si pongono più spesso sui disturbi somatoformi. Nonostante le informazioni presentate siano di assoluta qualità, anche oggi voglio ricordarti che l’autodiagnosi non è MAI una buona prassi. I contenuti che puoi leggere sul nostro blog, così come sui nostri canali social Instagram, Facebook e Linkedin sono di natura puramente informativa, e non possono in alcun modo sostituire il parere di un professionista.
Se ritieni di avere bisogno di aiuto, non esitare a contattarci: ti metteremo in contatto con lo psicologo più adatto per le tue esigenze. Torniamo ora al focus della guida di oggi: scopriamo insieme i disturbi da sintomi somatici.
Disturbo somatoforme o disturbo da sintomi somatici?
Nella pratica clinica, il termine “disturbo somatoforme” è stato sostituito da una differente nomenclatura. Infatti, scorrendo il DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), troveremo al suo posto i disturbi da sintomi somatici. I disturbi da sintomi somatici vengono descritti come un insieme di sintomi fisici che generano un forte disagio psicofisiologico.
Tale disagio porta ad una compromissione della vita quotidiana. Si stima che i disturbi da sintomi somatici siano diffusi per il 5-7% della popolazione italiana, e che le donne siano maggiormente colpite rispetto agli uomini. La preoccupazione presentata è generalmente molto alta, poiché dopo numerosi esami e check-up, siano essi generali o specifici, non viene evidenziata alcuna probabile causa organica, tanto che la persona è portata a contattare ulteriore strutture mediche e specialisti, nella speranza di comprendere cosa stia succedendo.
Quanto durano i sintomi somatici?
Quali sono i sintomi somatici?
I sintomi fisici più tipici di chi soffre di disturbo da sintomi somatici comprendono:
- senso di spossatezza (generico);
- mal di pancia e gonfiori/dolori addominali;
- problematiche intestinali;
- difficoltà sessuali (se. eiaculazione precoce);
- battito cardiaco accelerato o decelerato;
- anedonia;
- nausea e vomito;
- calo della libido (desiderio sessuale);
- cali di energie duraturi;
- forti dolori in un punto specifico del corpo, o generali.
- mal di testa.
Come riconoscere i disturbi da sintomo somatico?
Riconoscere tale disturbo non è semplice, a causa di due principali motivi:
- I sintomi possono essere o meno associati a un’altra condizione medica;
- La diagnosi di disturbo da sintomi somatici e quella di una possibile malattia organica non possono escludersi a vicenda, e potrebbero addirittura verificarsi contemporaneamente;
Nella quasi totalità dei casi, la persona ricerca cure mediche che tuttavia non sortiscono alcun effetto. E anzi, in alcuni casi è possibile che si verifichino effetti collaterali dovuti ai farmaci. Alcuni pensano che la valutazione medica e il trattamento cui sono stati sottoposti siano ti inadeguati
Inoltre, non è sufficiente soffrire di sintomi somatici privi di cause organiche plausibili per diagnosticare disturbi simili. Dovrebbe essere presente anche un senso di preoccupazione, autentico e persistente. La persona percepisce la propria situazione disperata, interpretando il fatto che la sintomatologia non abbia spiegazione biologica come segno di gravità assoluta. Come affrontare al meglio situazioni simili?
Curare i disturbi da sintomi somatici
Ogni persona, così come ogni situazione potenzialmente psicopatologica, è differente. Esisteranno quindi casi più gravi di altri, richiedenti interventi di un’equipe di professionisti. La prima azione valida dovrebbe essere quella di escludere a priori, come detto in precedenza, cause organiche.
Uno strumento molto utile sia in termini attivi che preventivi riguarda interventi psicoeducativi. Andrebbe spiegato alle persone che sofferenze mentali, o livelli di stress troppo elevati potrebbero provocare sintomi fisici. Molto spesso, nella società odierna, vige la tendenza di giudicare come immaginario qualunque sintomo che non abbia una causa medica ben definita.
Così come la sofferenza fisica può generare disagio psicologico, allo stesso modo la sofferenza mentale può generare sintomi fisici. Non si tratta di fantascienza, bensì di scienza. Con questa guida, noi di Helpmeout vorremmo contribuire ad aumentare la consapevolezza di ogni singolo individuo in merito. Perché appunto, il fatto che i sintomi non siamo supportati da una causa fisica non significa che siano immaginari o inesistenti.
La psicoterapia si mostra un trattamento efficace. A supporto di tale ipotesi è possibile trovare numerosi studi, tra i quali anche la metanalisi di Jing Liu e colleghi, sulla rivista scientifica “Journal of Affective Disorders”. Secondo i risultati dello studio della Liu, sessioni terapiche di circa un’ora agirebbero in modo importante sui sintomi somatici, contastandoli. Inoltre, con un percorso terapico completo, si andrebbero a ridurre notevolmente anche sintomi di depressione, ansia.
E quanto detto vale, ovviamente, in generale. Date tuttavia le differenze individuali prima citate, è sempre lecito affidarsi a professionisti della salute mentale come psicologi e psicoterapeuti. Persone che di mestiere aiutano altre persone. Affidarsi ad un professionista della salute mentale è un passo importante e delicato. Noi lo sappiamo bene, per questo il colloquio conoscitivo online è gratis. Ecco come funziona: per prima cosa dovrai compilare un questionario, per noi molto utile a comprendere i tuoi bisogni.
Questo infatti ci permetterà trovare il/la terapista più adatto alle tue esigenze, mettendoti in contatto con lui/lei. Il tutto culminerà con il colloquio conoscitivo gratuito online, dove anche tu potrai comprendere se quel professionista potrà davvero aiutarti. Ecco il link al questionario. Se c’è la soluzione, perché tenersi il problema? Life is too short to be unhappy.
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Difficoltà nelle relazioni sociali: come superarle?
Capita spesso che, in alcune situazioni specifiche, la persona possa percepire difficoltà nelle relazioni sociali e nel costruire un dialogo con altri. Che sia una festa con persone sconosciute, o ad un incontro galante improvvisato può capitare che non si riesca ad instaurare una relazione sociale costruttiva. In casi specifici, quando la persona si affaccia a nuove realtà per motivi di studio, di lavoro o di vita, farsi “nuovi amici” potrebbe essere ancora più difficile.
Per esempio, ricominciare da zero all’estero è una sfida che non sempre un expat italiano riesce ad affrontare da solo, con la serenità necessaria. Saper socializzare è una abilità, e come tale può essere allenata. Per andare in palestra, e apprendere un determinato movimento occorre rivolgersi ad un personal trainer competente. Allo stesso modo, per incrementare le proprie abilità sociali apprendendone teoria e pratica, sarà necessario confrontarsi con specialisti del settore.
Qual è il miglior modo per superare tali difficoltà? Le cosiddette applicazioni social possono aiutare? Scopriamolo insieme, qui sul blog di HelpMeOut, prendendo spunto da riviste scientifiche di caratura internazionale.
Difficoltà relazionali in un mondo “social”
Viviamo nell’era del digitale, dove è possibile “aggiungere agli amici” su Facebook, interagire in maniera diretta alle “stories” delle persone che seguiamo sui Instagram o sondare il terreno su Tinder, in cerca di un crush con la “persona giusta” o per rapporti occasionali e/o duraturi. Secondo alcuni dati riferiti all’anno 2019, in media gli italiani passano circa 4 ore sui social, in cerca di interazioni con altri utenti. Tempi che, a causa della pandemia, sono notevolmente aumentati.
Nonostante vi sia la possibilità virtuale di avere più “amici” e relazioni, il mondo digitale dei social media non sembra influire né in positivo, né in negativo su potenziali problematiche sociali. L’online è uno strumento, e come tale non va certamente demonizzato. Anzi, sarebbe bene sottolineare che nell’epoca Covid-19 i supporti digitali hanno permesso di non perdere, o di coltivare per quanto possibile, la socialità. Incontri su Skipe con i famigliari, Netflix party con gli amici e molti altri tools possono sicuramente aver reso meno grave la solitudine forzata dei Lockdown.
Prendendo atto, quindi, delle straordinarie potenzialità dei social media, va ricordato che in presenza didisagio è necessario lavorare su se stessi al di là del mondo online. Che tu senta di avere difficoltà nel rapportarti con altri, problemi” di timidezza o relazionali, non saranno più amici sui social media a fornirti un aiuto concreto. Perché? Il motivo è scientifico, e di semplice comprensione.
La scienza delle relazioni sociali
Secondo lo studio di Maria Teresa Lima dell’università di Lisbona, pubblicato su Frontiers of Psychology, le relazioni sociali dal vivo sarebbero direttamente correlate ad uno stato di salute mentale benefico, in modo superiore agli incontri online. La maggior parte delle amicizie sbocciate nel mondo virtuale sarebbero nella maggior parte dei casi superficiali, e non costituirebbero una reale rete sociale.
Osservando poi il contesto nel quale viviamo, alle prime riaperture le persone hanno risposto con ondate di socialità, voglia di uscire e di riprendere le vecchie abitudini. Non va dimenticato che l’uomo è un animale sociale, e che l’organizzazione mondiale della sanità nella sua celebre definizione del più che lontano 1948 ma sempre attuale, descrive appunto la salute “come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia“. Informazioni importanti, fondamentali per comprendere che con la salute psicologica non si scherza, e che l’unico modo di coltivarla è farsi affiancare da un professionista.
Il miglior modo per superare le difficoltà nelle relazioni sociali
Di consigli, sul web, se ne leggono molti. Fiumi di articoli, e video nei quali vengono mostrati specifici “metodi infallibili”, e poco importa che questi ultimi siano forniti da professionisti o improvvisati: ogni situazione, così come ogni essere umano, è differente. Il miglior modo per superare le difficoltà nelle relazioni sociali è intraprendere un percorso, affiancandosi ad un esperto del settore. Solo così potrai avere un confronto personalizzato e più adatto a te.
E, per non esulare dal contesto storico che stiamo vivendo, potremmo descrivere la terapia come un “vaccino”. Abilità come il saper ascoltare possono migliorare la comunicazione delle persone, agendo come la più completa delle prevenzioni contro le difficoltà sociali e tutto quello che ne deriva. Tutti noi in potenza siamo interessanti, sappiamo rompere il ghiaccio o possiamo sentirci a nostro agio in un gruppo di amici nuovi. Il primo passo consiste nel chiederti per quale motivo tu stia provando ciò che senti. Perché non riesci ad esprimerti liberamente? Cosa ti blocca? Se ci hai già provato, e da sola/o non riesci ad uscirne, noi possiamo aiutarti.
HelpMeOut offre un servizio unico di supporto psicologico online, che fino ad oggi ha permesso a centinaia di persone in Italia e all’estero di poter risolvere il proprio disagio psicologico, di ottenere la crescita personale tanto desiderata, o di migliorare le proprie abilità sociali. Essendo professionisti seri, siamo ben consci che trovare “quello giusto” sia veramente difficile. Per facilitare le persone, offriamo il primo colloquio conoscitivo… gratuito. Come fare ad ottenerlo? Segui questi tre semplici passi:
- Compila il questionario, nel quale potrai comunicarci la tua situazione e le tue difficoltà/desiderio di migliorare;
- In base alle TUE richieste, ti metteremo in contatto con il membro del team maggiormente qualificato per aiutarti;
- Potrai confrontarti con lui nel primo colloquio gratuito, senza impegno.
E solo dopo sarai tu a decidere se continuare, oppure no. Cosa aspetti? Usufruisci del primo colloquio conoscitivo gratuito, migliora con noi. HelpMeOut: life is too short to be unhappy.
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Binge eating: quando l’abbuffata diventa un problema?
Il binge eating è una condizione patologica, caratterizzata da ricorrenti abbuffate incontrollate, che portano la persona a vivere una sensazione di disagio psicologico. Negli ultimi anni, il termine ha subito una forte impennata, a causa del gran numero di contenuti pubblicati sul web, diventando così sinonimo di abbuffata. In realtà, concepire questi due termini come sinonimi è un errore.
Un altro errore da imputare al precedente, tristemente spesso commesso dai non addetti ai lavori, consiste nell’eseguire diagnosi senza possedere le conoscenze necessarie. Così come in ogni altra guida che troverai sul nostro blog, ti ricordo che il fine delle seguenti righe ha carattere puramente informativo, e non può in alcun modo sostituire la diagnosi di un professionista del settore.
Nel linguaggio comune, un pasto abbondante potrebbe essere definito come un episodio di abbuffata potenzialmente patologico. Come vedremo oggi tuttavia il disturbo di binge eating deve soddisfare determinati criteri, definiti nel manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5), che solo un professionista della salute mentale come lo psicologo può interpretare in modo corretto. Veniamo ora alla domanda principale, contenuta nel titolo di oggi: quando un’abbuffata può essere considerata un reale problema? Quali sono i migliori rimedi possibili per imparare a gestire e superare simili psicopatologie?
Binge eating: sintomatologia e diagnosi
Ogni notte, quando tutti dormono, mi fiondo in cucina e inizio a mangiare. Non che io abbia fame… non so perché. Biscotti, dolciumi, hamburger, yogurt, uova, carne, pesce… è indifferente. Apro il frigo e inizio a mangiare, fino a sentirmi così gonfio da esplodere. Capita sempre più spesso: sono ingrassato di circa otto kg in tre mesi. Ogni volta che concludo il mio pasto notturno, mi sento sporco, disgustato da me stesso. La cosa più grave? Non riesco a farne a meno…
L’abbuffata rappresenta un comportamento specifico, dove il soggetto è colpito da un forte impulso, che lo porta ad ingerire quantità di cibo superiori rispetto alla norma. Durante questi episodi, la persona non riesce a smettere di mangiare e si riempie fino a provare vergogna, imbarazzo, forte senso di disgusto nei confronti di se stesso. Un’abbuffata è solitamente seguita da senso di colpa, sintomi depressivi e diminuzione di autostima. Al contrario di altri disturbi alimentari come l’anoressia e la bulimia nervosa, però, non vengono messe in atto condotte compensatorie (vomito autoindotto, utilizzo di lassativi, eccessivo esercizio fisico).
Quando episodi simili sono ricorrenti nel tempo (da minimo una volta a settimana, per più mesi consecutivi), potrebbe essere possibile diagnosticare il binge eating disorder (BED), o disturbo da alimentazione incontrollata. Dico “potrebbe” perché ogni situazione è differente, e va attentamente valutata in sede competente. Secondo alcuni, sembrerebbe esserci una correlazione tra BED e obesità, disturbo depressivo maggiore e disturbi di personalità. Il quadro sintomatologico potrebbe quindi comprendere anche complicazioni legate a patologie fisiche come le cardiovascolari e diabetiche.
Abbuffate e pensieri intrusivi
Pare chiaro che, quindi, una singola abbuffata non può essere considerata come patologica, anche se agli occhi di molti potrebbe apparire come tale. Mangiare due pizze, o fare il bis a tavola o a ristorante potrebbe non rappresentare un reale problema. A tal proposito, infatti, un’altra variabile fondamentale, che va assolutamente considerata, è il contesto nel quale tali comportamenti vengono messi in atto.
Se il desiderio di mangiare, anche in assenza di appetito, e le emozioni negative così generatesi ripercuotono in modo considerevole sulla qualità della vita, è necessario recarsi da specialisti della salute mentale. Come abbiamo visto, infatti, il forte disagio psicologico in potenza generato potrebbe provocare difficoltà nei rapporti con altre persone, portando l’individuo all’isolamento sociale.
Il risultato consiste quindi in un progressivo decremento della qualità della vita, all’impoverimento della rete sociale e perfino all’esordio di sintomatologie fisiche legate all’aumento di peso. Essendo il disturbo da alimentazione controllata, in genere, privo di condotte compensatorie, è possibile che sopraggiungano obesità e problematiche cardiovascolari.
Il miglior rimedio possibile
Inutile nascondersi: quando il disagio è forte, e pare incontrollabile, l’unica soluzione rimane quella di affidarsi ad un professionista della salute mentale. Numerose ricerche scientifiche mostrano l’efficacia di terapie individuali di stampo psicologico, nel trattamento di tali patologie. Decidere di non intervenire, o ancora peggio, contattare improvvisati, potrebbe andare a peggiorare la situazione in modo irrimediabile.
Come sempre, ti ricordo che le uniche figure legalmente riconosciute, esperte nel trattamento e nella gestione del disagio psicologico sono psicologi e psicoterapeuti. Nel nostro team troverai professionisti preparati, pronti ad accogliere le tue richieste. E ti dico di più: se è la prima volta che vieni in contatto con la nostra realtà, avrai diritto ad un colloquio conoscitivo gratuito online.
Il motivo per il quale offriamo il primo colloqui gratis è di vitale importanza e va spiegato. Sappiamo che trovare lo psicologo “giusto”, in grado di fornire una soluzione ai bisogni della persona, non è affatto semplice. Si rende quindi necessario fornire uno spazio nel quale professionista e persona possano inizialmente confrontarsi senza impegno. In questo modo, avrai la possibilità di capire se e come il membro del team scelto per te, in base alla tua specifica situazione, potrà esserti davvero utile.
Compila il questionario e usufruisci di un primo colloquio gratuito.
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Difficoltà emotive e relazionali: come comportarsi?
Quando si parla di difficoltà emotive, ci si riferisce solitamente all’insieme di cause generanti disagio psicologico legate appunto alla sfera emotivo-relazionale. Le persone che soffrono di disturbi legati alla sfera emotiva tendono solitamente ad evitare determinate situazioni, o a mettere in atto comportamenti disfunzionali a causa del disagio psicologico che provano.
Molto spesso si sentono impotenti perché incapaci di gestire le proprie emozioni, e in balia di queste ultime manifestano ansia e rabbia incontrollata. Una mancata gestione emotiva potrebbe portare facilmente a difficoltà relazionali generiche o di coppia, e scarsa autostima. Come in ogni altra tematica psicologica, urge il condizionale: non è detto che una difficoltà di gestione emotiva provochi per forza difficoltà.
Prima di continuare, è mio compito ricordarti che le informazioni riportate su qualunque articolo del blog di HelpMeOut hanno carattere puramente informativo, e non possono in alcun modo sostituire il parere di un esperto della salute mentale. E ora non resta che approfondire partendo dal principio: cosa sono le emozioni, e perché sono importanti per le persone?
Emozioni: imparare a comprenderle
“Per apprezzare il significato delle emozioni, basta immaginare la vita senza di esse. In luogo degli alti e dei bassi che sperimentiamo quotidianamente, la vita assomiglierebbe ad una vasta pianura vuota con poco significato”
Le emozioni rappresentano una serie di modificazioni psicofisiologiche che sfociano in comportamenti o alterazioni della mimica facciale, posturale e della gestualità, in base alla cultura di appartenenza. L’ambiente in cui viviamo e il contesto socio-economico possono dare alla luce emozioni differenti, in base all’assetto valoriale di una popolazione. Per esempio, alcuni popoli della Nuova Guinea identificano con il termine “Awumbuk” quell’insieme di tristezza e inerzia dovuto alla partenza di ospiti graditi. Nonostante importanti differenze transculturali documentate da numerosi studi, secondo gli scienziati è possibile distinguere alcune emozioni universali definite di base, tra le quali:
- Felicità;
- Tristezza;
- Rabbia;
- Paura;
- Disgusto.
che sarebbero appunto innate perché fondamentali alla sopravvivenza della specie. Per comprendere meglio quest’ultimo passaggio, nella guida sullo stress lavoro correlato abbiamo visto come uno stimolo stressante possa generare paura negli individui. La paura (emozione) può generare determinati esiti comportamentali (aggressività).
In alcune situazioni, agire con aggressività può tornare utile (per esempio, in un eventuale combattimento per salvarsi la vita). In altre, invece, risulterebbe controproducente (manifestare aggressività esagerata nei confronti di un figlio o di un proprio sottoposto/superiore sul lavoro). La mancata gestione di rabbia o paura potrebbero rovinare un rapporto di coppia, a causa di scoppi d’ira ritenuti incontrollabili.
Le emozioni non rappresentano qualcosa di negativo che dev’essere combattuto ed eliminato. Esse rappresentano uno straordinario motore di sopravvivenza che ha permesso al genere umano di sopravvivere ed evolversi nei secoli. Il piccolo “problema” consiste nel fatto che emotivamente parlando, non siamo molto diversi da secoli fa.
Qual è il miglior metodo per imparare a gestirle, in modo da prevenire disagio e difficoltà relazionali?
Come gestire le difficoltà emotive e relazionali
Una corretta gestione delle proprie emozioni rappresenta la soluzione ideale per prevenire o risolvere complicanze relazionali. Il tutto passa in primis da una comprensione dell’emozione stessa, e dall’accettazione totale di essa. Le difficoltà emotive vanno vissute appieno, e trasformate da punti deboli a potenti alleati, in un’ottica di miglioramento e crescita personale.
Il primo passo consiste nel chiederti per quale motivo tu stia provando ciò che senti. Cosa stanno cercando di dirti le tue emozioni? Noi di Helpmeout possiamo aiutarti a capirlo. Nel team troverai professionisti psicologi certificati e qualificati, che ogni giorno aiutano persone in cerca di una soluzione. Se anche tu ritieni di aver bisogno di un supporto, non esitare a contattarci. Compila il questionario e usufruisci del primo colloquio conoscitivo gratuito. Life is too short to be unhappy.
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Fobia sociale: come riconoscerla
La fobia sociale rappresenta una paura persistente e incontrollabile percepita in situazioni di interazione sociale. Difficoltà principali legate a questa patologia psicologica riguardano il parlare, o più in generale l’esibirsi di fronte ad un pubblico. In situazioni simili, l’individuo percepirebbe una forte sensazione di disagio psicologico legato principalmente a sintomi ansiosi. Nell’articolo precedente sull’ansia, e in uno dei più recenti sullo stress, abbiamo però spiegato che reazioni simili possono essere considerate del tutto normali.
Quando è possibile definire l’ansia sociale un vero e proprio disturbo psicopatologico? A chi sarebbe meglio rivolgersi, per affrontare e risolvere situazioni simili? Lo scopriremo insieme, nei prossimi paragrafi.
Fobia sociale: di cosa si tratta?
Le fobie sono paure ostinate, spesso prive di fondamento, nei confronti di oggetti, esseri viventi, o contesti situazionali. Se la fobia si rivolge ad attività, situazioni o classi di esseri viventi particolari, è lecito parlare di fobie specifiche. Ognuno di noi ha provato nella vita quotidiana sensazioni di angoscia irrazionali, legate ad oggetti o animali.. Esempi celebri potrebbero essere l’insettofobia (paura degli insetti) o l’aracnofobia (paura degli aracnidi come ragni e/o scorpioni). Nel DSM-5 vengono appunto indicati differenti codici legati allo stimolo fobico specifico, che vengono distinti in animale, paure legate alla natura (altezze, temporali, etc…), paura di sangue, iniezioni e ferite, e ovviamente la fobia sociale.
Partiamo dal presupposto che, come accennato nell’introduzione, percepire ansia prima di esibirsi davanti ad un pubblico, o paura quando si affronta una situazione inedita, non è patologico, anzi. Una buona attivazione psicofisiologica ci permetterebbe di ottenere prestazioni qualitativamente superiori, legate appunto a capacità cognitive superiori. Il problema, come sempre, consiste nella quantità di ansia o paura provate. Quando può essere ritenuta a tutti gli effetti patologica?
La fobia sociale, o disturbo d’ansia sociale, consiste appunto nel provare paura o ansia eccessive, o addirittura evitamento totale di una o più situazioni sociali, dove si è esposti al parere di altre persone. Quando le suddette sensazioni, non essendo attribuibili ad altre patologie psichiche o fisiologiche, costringono l’individuo ad evitare determinati comportamenti, potrebbe essere lecito parlare di disturbo d’ansia sociale.
Dico “potrebbe” perché è assolutamente sconsigliato fare autodiagnosi, o affidarsi a improvvisati per avere una risposta concreta. L’unico modo di verificare l’esistenza di un ipotetico problema, e provare a risolverlo secondo i migliori metodi, consiste nello scegliere il giusto professionista. Ritieni di avere un reale problema legato a fobie, e vorresti risolverlo? Ecco a chi dovresti rivolgerti.
A chi rivolgersi per un utile supporto
Come riportato nell’articolo 1 della legge 56/89, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte a persone possono essere erogate legalmente da chi ha seguito un determinato iter formativo, e che è iscritto all’albo professionale degli psicologi. Essendo quindi la fobia sociale una psicopatologia, la risposta è semplice: le uniche figure professionali alle quali rivolgersi sono lo psicologo e lo psicoterapeuta.
Il nostro team, composto appunto da psicologi e psicoterapeuti abilitati, con alle spalle formazione ed esperienza, è a tua disposizione. Se ritieni di avere un problema, non esitare a contattarci. Compila il questionario e usufruisci di un primo colloquio gratuito.
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Ansia: cause principali e come gestirla
L’ansia rappresenta per molti un problema invalidante e incontrollabile, dal quale è impossibile sottrarsi. Eppure, come nel caso dello stress approfondito un uno degli articoli precedenti, la variabile ansiogena di per sé non è negativa. In aggiunta, numerose fonti scientifiche del massimo livello supportano l’ipotesi seguente: l’essere umano, se adeguatamente supportato, può imparare a gestire l’ansia con successo tramite tecniche psicologiche e psicofisiologiche.
I benefici della gestione dell’ansia sono moltissimi, e si ripercuotono positivamente sullo stile di vita, sulla produttività e sul benessere percepito. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, il fenomeno non viene gestito a contatto con un professionista. Il risultato? Un aumento esponenziale delle probabilità di degenerazione. Nei casi in cui l’ansia venga sottovalutata, uno degli scenari peggiori consiste nell’esordio del disturbo d’ansia generalizzato. Quali sono i sintomi? Cosa fare quando palline antistress, candele rilassanti e musica new age non sortiscono l’effetto desiderato? Scopriamolo, insieme.
Ansia, sintomi e gestione
L’ansia può essere definita come una reazione psicofisiologica ed emotiva legata a sensazioni di pericolo generate da potenziali minacce. Provare sensazioni simili è del tutto normale, e non implica alcuna compromissione psicologica. Se, tuttavia, l’ansia percepita è eccessiva, costante nel tempo e insieme ad essa sopraggiungono tremori, tensioni e irrequietezza, potrebbe trattarsi di un disturbo d’ansia generalizzato.
L’ansia generalizzata è molto diffusa, sia nelle società occidentali che orientali. Colpisce qualunque fascia d’età, tuttavia l’esordio si verifica maggiormente nell’infanzia o nell’adolescenza. Secondo alcuni studi, disturbi simili colpirebbero di più persone che vivono in ambienti difficili e stressanti. Le cause studiate in letteratura scientifica possono riguardare sintomi cognitivi come pensieri intrusivi disfunzionali dovuti a situazioni accadute nel passato, o che in potenza potrebbero verificarsi.
In parole povere, potremmo descrivere la suddetta patologia psicologica come un’eccessiva preoccupazione, che tende a bloccare la persona, senza lasciare scampo alcuno. Una sensazione di immobilità totale, che dimezza o addirittura annienta le capacità cognitive. In caso appunto di pensieri intrusivi, l’individuo avrà difficoltà a concentrarsi, e a recuperare adeguatamente. Non è raro infatti che, oltre al quadro sintomatologico appena descritto, possa manifestarsi anche insonnia persistente. Imparare a gestire l’ansia diventa quindi fondamentale, e offre risvolti positivi nel miglioramento della qualità della vita.
Veniamo ora ad alcune delle domande più frequenti sull’ansia, indispensabili per far luce sui punti chiave. Come sempre, ti invito ad evitare l’autodiagnosi, perché la frase “alla fine siamo tutti un po’ psicologi” è più pericolosa che mai. I sintomi riportati in precedenza non indicano per forza l’esordio di una psicopatologia.
Ansia e disturbo d’ansia sono la stessa cosa?
No. L’ansia è un meccanismo fisiologico, mentre il disturbo d’ansia è una psicopatologia. Quest’ultimo si verifica quando i sintomi ansiosi sono talmente forte da essere invalidante: la persona non riesce a vivere la propria quotidianità come prima.
A cosa è dovuta l’ansia?
La risposta definitiva a questa domanda, come per tante altre, è: dipende. Le cause potrebbero essere sia a fattori biologici che psicologici, o ad entrambi.
Come si cura (o si previene) l’ansia?
Solo ed esclusivamente a contatto con un professionista della salute mentale che abbia una formazione psicologica, e sia abilitato alla professione di psicologo. Solo tali figure sono in grado di fornire soluzioni funzionali e prive di rischi per la gestione dell’ansia. Affidarsi ad altri, che per mancanze formative non padroneggino la materia, potrebbe addirittura risultare controproducente, peggiorando la situazione.
Quando è consigliabile rivolgersi ad uno psicologo?
Non c’è un momento specifico, o un indicatore oggettivo. La terapia psicologica, sia essa svolta dal vivo che online, può essere una via utile per imparare a gestire la propria ansia, e prevenirne la degenerazione in disturbo d’ansia vero e proprio.
Come faccio a scegliere lo psicologo giusto per me?
Così come ogni persona è differente, sarà impossibile trovare una psicologa o uno psicologo identico ad un altro. Trovarsi bene con il proprio terapeuta è quindi altamente soggettivo. Un’informazione senz’altro utile risulta quella di sincerarsi che il professionista che si voglia contattare sia adeguatamente formato per supportarci. Per esempio, se si hanno problemi di coppia, uno psicologo specializzato in terapia di coppia sarà più indicato. Allo stesso modo, se il bisogno è un supporto genitoriale, allora un altro professionista farà al caso nostro, e così via.
Con noi potrai verificare, in un primo colloquio gratuito conoscitivo, se lo psicologo che abbiamo scelto per te può davvero aiutarti oppure no. Nel prossimo paragrafo ti spiegherò come funziona.
I professionisti del benessere psicologico
La società in cui viviamo ha visto lo sviluppo di numerose figure che, ad un occhio inesperto, potrebbero sembrare le più indicate per imparare a gestire problematiche psicologiche. Al di là di fantasie e pseudoscienza, è imprescindibile sottolineare il fatto seguente: le uniche figure che possiedono gli strumenti adeguati a gestire la situazione riguardano le professioni sanitarie. In particolare, psicologi abilitati e/o psicoterapeuti. Il nostro team, composto da professionisti, è appunto formato secondo norme legali vigenti, per dare il massimo a chi è in cerca di aiuto. Se ritieni di avere un problema, ma non sai da che parte iniziare, nessuna paura: il nostro metodo è fatto apposta per te.
Compilando il questionario che mettiamo a disposizione a chiunque non sia mai entrato in contatto con noi (che trovi qui), ci fornirai un quadro della tua situazione. Dopo averla attentamente analizzata, saremo noi a proporti uno dei membri del nostro team, il più qualificato per fornirti una soluzione ideale. Avrà così luogo il primi colloquio, online e completamente gratuito. Avrai quindi la possibilità di comprendere se e come potrà esserti utile. Le tariffe, inoltre, sono calmierate perché qui ad Helpmeout abbiamo un sogno: rendere il supporto psicologico accessibile a tutti.
Ci vediamo nella prossima guida, oppure online. Ricorda: se c’è una soluzione a portata di click, perché tenersi il problema? Life is too short to be unhappy.
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Depressione: sintomi e come uscirne
La depressione è una patologia di primaria importanza, nella quale è presente un disagio psicologico grave, che può peggiorare col passare del tempo. Molto spesso, le persone tendono ad abusare del termine, definendosi come depresse in varie situazioni. Anche a te sarà capitato di esprimerti in questo modo, e di dichiararti depresso/a dopo una brutta notizia o un evento negativo.
Come vedremo, però, per depressione clinica o disturbo depressivo maggiore s’intende qualcosa di ben più grave. La ricerca scientifica ha infatti più volte dimostrato che l’utilizzo colloquiale di “depressione” si riferisce ad una variazione dell’umore temporanea, nella norma. Scopriremo, in questo contenuto, che il termine in realtà si riferirebbe ad una vera e propria condizione psicopatologica piuttosto diffusa. Forniremo un elenco dei sintomi, e risponderemo alle domande più frequenti, come:
Cosa significa davvero soffrire di depressione?
Come capire se il quadro sintomatologico è grave;
Cosa si può fare quando si è depressi?
E molto altro.
Troverai inoltre alcuni consigli utili per gestire al meglio situazioni di disagio psicologico. Tengo a ribadire che ogni informazione esplicata nelle prossime righe è di carattere puramente informativo, e non può sostituire il parere di un esperto della salute mentale. Andiamo ora alla ricerca di risposte concrete.
Cosa significa soffrire di depressione?
Il disturbo depressivo maggiore è una psicopatologia presente in ogni paese del mondo. Secondo il manuale Handbook of Psychological Assessment, Case Conceptualization, and Treatment di Hersen e colleghi, le donne hanno in media in percentuale una più elevata possibilità di sviluppare uno o più episodi depressivi rispetto ai maschi. Molto spesso, dopo l’esordio i sintomi tendono a scomparire da soli. In mancanza di un trattamento specifico, tuttavia, vi è un’elevata possibilità di ricadute.
I sintomi della depressione abbracciano un’ampia gamma di variabili, oltre al tono dell’umore. Possono essere presenti infatti sintomi cognitivi, comportamentali, emotivi, motivazionali e fisici:
Sintomi Cognitivi della depressione
- Possedere una percezione distorta di se stessi in senso negativo;
- Scarsa autostima percepita;
- Pessimismo cronico, sensazione che nulla potrà mai migliorare;
- Decremento di prestazioni cognitive (minore attenzione, difficoltà a ricordare le cose, e a compiere ragionamenti semplici).
Sintomi Comportamentali della depressione
- Insonnia e/o ipersonnia nella quasi totalità del tempo;
- Agitazione e lentezza, rallentamenti psicomotori reali;
- Diminuzione della produttività nella performance lavorativa e quotidiana;
- Ritiro sociale.
Sintomi emotivi e motivazionali della depressione
- Umore depresso, tristezza (sentirsi infelici e svuotati di ogni energia);
- Anedonia (incapacità di provare appagamento o piacere);
- Sentimenti di rabbia o agitazione senza un motivo specifico;
Sintomi fisici della depressione
- Percezione di dolori generali piuttosto frequenti e senza una causa chiara;
- Emicrania, gastrite e in casi gravi colite;
- Diminuzione o aumento marcato di appetito;
Per una diagnosi effettiva di depressione clinica (disturbo depressivo maggiore), i sintomi sopra elencati devono essere presenti per periodi di tempo prolungati, e con dinamiche specifiche, che uno psicologo abilitato conosce alla perfezione. Come fare a distinguere un mood depresso da una depressione grave?
Quando la depressione è grave?
Quadri sintomatologici simili, se protratti sul lungo periodo, sfociano in una compromissione severa della vita dell’individuo. La depressione è grave quando i sintomi ci paralizzano, e non permettono più di portare avanti le nostre giornate come in precedenza. Il reale significato del termine “depressione”, quindi, va ben oltre la tristezza o emozioni contrastanti del momento, e presenta una realtà di difficile interpretazione dai non addetti ai lavori.
Alcuni studi suggeriscono che l’attività fisica, sia aerobica sia anaerobica, possa influire in modo positivo sulla sintomatologia. Celebri sono gli studi di James Blumenthal. In particolare, in uno studio del 2000, pubblicato sulla rivista internazionale Psychosomatic medicine, viene testata l’efficacia di protocolli aerobici su pazienti affetti da disturbo depressivo maggiore. Nonostante i risultati siano certamente incoraggianti, tali pratiche non devono essere intese come il fulcro dell’intervento, bensì come a supporto.
La miglior strategia, quindi, consisterebbe nel recarsi da un professionista sia in ottica preventiva che di intervento. Esistono infatti numerosi modelli validati scientificamente, in grado di risolvere il problema alla radice, per evitare che si ripresenti nei mesi e negli anni successivi. Quali sono, nello specifico, le figure professionali da contattare?
Cosa si può fare quando si è depressi?
La depressione, così come tante altre condizioni patologiche mentali, viene spesso sottovalutata (“tanto è solo una cosa psicologica”, oppure “esiste solo nella tua testa, non è reale”). Quindi, per prima cosa, possiamo dirti cosa NON FARE assolutamente, se pensi di soffrire di disagio psicologico. Evita di recarti da improvvisati. Gli amici e i famigliari sono una risorsa importante, ma non possono in alcun modo sostituire un professionista della salute mentale come lo psicologo.
Essere del mestiere, oltre all’iter formativo che dura dai sei ai dieci anni, permette di sviluppare una certa empatia nei confronti delle persone e della loro sofferenza. Per farti un esempio concreto, essendo i membri del nostro team abilitati legalmente, e avendo sviluppato una determinata esperienza a contatto con il disagio psicologico, sono in possesso delle migliori metodologie per aiutarti. Cercare aiuto da altre figure, che non vantano di un background adeguato, potrebbe complicare le cose anziché migliorarle.
Allo stesso modo, evita l’autodiagnosi. Come ribadito nel primo paragrafo, una risorsa trovata su internet rappresenta un buon punto di partenza per intraprendere un percorso con specialisti, ma di certo non sostituisce una diagnosi professionale.
Come possiamo esserti utili?
Noi di Helpmeout mettiamo a disposizione un servizio di supporto psicologico online, a prezzi calmierati e con primo colloquio gratuito. Se cerchi aiuto, o pensi di soffrire di un disagio psicologico, ma non sai bene “come e perchè”:
- Compila il questionario, che ci permetterà di comprendere quale, tra i membri del nostro team, ha le migliori competenze per supportarti;
- Usufruisci del primo colloqui gratuito conoscitivo con il professionista.
- Decidi in che modo proseguire.
In questo modo potrai avere le idee chiare su come e perché una terapia individuale (o di coppia) potrà esserti utile. Rimaniamo a disposizione per qualunque dubbio o domanda in merito. Se hai un problema, noi siamo qui per aiutarti a risolverlo, con competenza e strategie scientifiche. Compila il questionario e usufruisci di un primo colloquio gratuito. Life is too short to be unhappy.
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Stress lavoro correlato: perché devi imparare a gestirlo
Lo stress lavoro correlato viene definito come uno squilibrio, entro il quale l’individuo si sente incapace di far fronte a richieste e sfide poste dal suo contesto lavorativo. In situazioni simili, si assiste ad un carico stressante costante nel tempo, che può sfociare in patologie fisiche e psicofisiche. Se non gestito, quindi, lo stress può potenzialmente portare a esiti spaventosi, come la sindrome del Burnout, definito appunto come una risposta data da stimoli stressanti dovuti a pensieri e ad emozioni negative (Maslach, Leiter, 2016).
Come insegna la legge di Yerkes-Dodson, tuttavia, l’essere stressati risulta indispensabile tanto per il benessere psicologico dell’individuo, quanto per la performance lavorativa. Individui in grado di gestire emozioni e stress sarebbero più motivati, produttivi e avrebbero meno probabilità di presentare assenteismo dall’ambiente di lavoro.
Oggi noi di Helpmeout vorremmo mostrarti alcune ricerche scientifiche fondamentali per comprendere come una corretta gestione dello stress, raggiunta grazie a tecniche psicologiche e colloqui con un professionista, possa trasformare una potenziale difficoltà in una grande risorsa. Lo stress lavoro correlato non è una minaccia, se sai come gestirlo. Per garantire una corretta comprensione dei fenomeni in ballo, partiamo dal principio: cosa s’intende per stimolo stressante? Perché è importante?
Stress lavoro correlato: i sintomi fisici
Anche se potrebbe sembrare un po’ fazioso, dato che faccio parte del suddetto gruppo, gli umani vantano di una scala evolutiva degna di nota. Una delle variabili fondamentali che ha permesso la sopravvivenza, dalla preistoria ad oggi, è senz’altro lo stress. Nello specifico, la capacità di reagire prontamente a stimoli ritenuti pericolosi ha permesso ai nostri antenati cacciatori/raccoglitori di scappare da letali predatori con una marcia un più, o di combattere senza rimorso. In che modo?
A capo di un evento stressante, nel torrente ematico vengono rilasciate determinate sostanze che permettono alla persona di essere maggiormente prestante. Senza questa scarica di ormoni, i nostri antenati non sarebbero mai scampati ad agguati di tigri e grandi carnivori. Ad oggi nulla è cambiato: lo stesso meccanismo permette ai grandi sportivi di sprigionare il loro potenziale. Per quale motivo allora una risorsa così preziosa nel corso della storia, ai giorni nostri viene additata come negativa?
Il problema consiste nella periodicità dello stimolo. Come esseri umani, siamo “programmati” per reagire bene ad eventi stressanti in acuto, ma non in cronico. E lo stress lavoro correlato rappresenta esattamente uno stimolo in cronico, che può causare gravi danni e disturbi psicofisiologici. Vivere una realtà difficile quotidianamente, senza avere la possibilità di recuperare, può essere fonte di difficoltà. I sintomi più frequenti dello stress possono essere legati all’insonnia, difficoltà di concentrazione, anedonia, umore depresso ma non solo.
Dati di molteplici ricerche riportano l’esistenza di fattori psicologici come causa primaria di danni fisici. Le patologie più comunemente legate allo stress lavoro correlato riguardano l’ipertensione arteriosa, e in generale gli aspetti cardiovascolari, oltre a:
- Ulcere o lesioni alle pareti dello stomaco;
- Restringimento periodico delle vie respiratorie, asma;
- Emicrania, mal di testa ricorrenti, senso di instabilità e vertigini;
- Cardiopatie e infarto.
Una miriade di sintomi possibili, correlati ad un contesto lavorativo che ogni giorno diventa sempre più veloce ed esigente. Ecco perché imparare a gestire lo stress è diventato ormai fondamentale, sia per il singolo che per l’azienda. In che modo?
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Prestazioni lavorative e benessere individuale
L’ambiente aziendale rappresenta un contesto, entro il quale si muovono individui, si creano relazioni e si rispettano ruoli differenti. L’azienda è formata da persone, esseri umani, che come abbiamo visto possono incappare in patologie gravi se esposte a stress eccessivo in cronico. Quindi, per preservare in primis il benessere individuale, ma anche la performance sul luogo di lavoro, si rendono necessarie skills di stress management.
La gestione dello stress porterà quindi non solo il lavoratore a sentirsi meglio, ma anche a ottime prestazioni. Molto banalmente, un individuo sano, che dorme regolarmente e che è in grado di gestire situazioni difficili con maggior serenità sarà maggiormente motivato a dare il massimo.
Al contrario, una persona con problemi di insonnia, difficoltà respiratorie e principi di cardiopatia oltre a non essere motivato mostrerà – giustamente – un maggior assenteismo dal luogo di lavoro.
Se quindi la gestione dello stress rappresenta un Win-win tra azienda e persone, e contribuisce a migliorare il benessere percepito, quali sono le migliori strategie per praticarlo? E ancora, quale potrebbe essere la figura più indicata per risolvere eventuali problematiche dovute a pensieri intrusivi o stressor importanti?
I nostri servizi
Gestire lo stress: roba da professionisti
Ogni situazione, così come ogni persona, è differente. A causa di ciò, risulterà altrettanto differente la soluzione ai suoi bisogni. Senza perdersi in inutili chiacchiere, è lecito pensare che per risolvere – o ancora meglio prevenire – disagi è necessario affidarsi ad un professionista che possieda scienza ed esperienza.
La chiave consiste, quindi, nell’imparare a gestire carichi stressanti tramite tecniche psicologiche. Con il giusto supporto, potrai trasformare un potenziale pericolo in una grande risorsa. Il nostro team, composto da psicologi e psicoterapeuti abilitati, è a tua disposizione. Se hai – o ritieni – di avere una difficoltà legata all’ambito lavorativo, sappi che con noi potrai sfruttare un colloquio conoscitivo gratuito con uno dei nostri psicologi. Lascia che ti spieghi come funziona.
Prima di tutto, sarà necessario compilare un brevissimo questionario, che darà la possibilità di comprendere come ti senti. In seguito, saremo noi a proporti il terapeuta che pensiamo possa essere il migliore per la tua situazione. Successivamente potrai conoscerlo di persona, nel primo incontro gratuito online, per un confronto de visu. Siamo ben consci che trovare lo psicologo giusto può essere difficile, ma che appunto un primo incontro senza impegno è il modo migliore per capire se e come quel professionista potrà aiutarti.
Non esistono problemi grandi e piccoli, ma semplicemente problemi, che ti aiuteremo a risolvere. Compila il questionario e usufruisci di un primo colloquio gratuito, in totale autonomia dovunque ti trovi. Life is too short to be unhappy.
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Terapia di coppia online: pro e contro
La terapia di coppia online funziona? Quali potrebbero essere i risultati tangibili di un approccio simile? Sono queste e altre domande legate al benessere relazionale che la popolazione italiana spesso si pone. Non è sempre tutto rose e fiori: qualunque coppia ha passato momenti difficili, cruciali per lo sviluppo personale di entrambi i partner. Oggi andremo ad analizzare nel dettaglio l’argomento, citando come al solito, fonti scientifiche e rilevanti in ambito psicologico.
Come ricordato in una delle guide precedenti, non ci sono differenze significative tra la terapia di coppia online o dal vivo offline. Parrebbe quindi ripetitivo e scontato ribadire le differenze tra le due tipologie di intervento. Un punto di partenza interessante, invece, riguarda la seguente domanda: esistono situazioni più indicate di altre per intraprendere una terapia relazionale? Ovviamente si. Ogniqualvolta sia manifesto un disagio psicologico di qualunque entità, sarebbe utile rivolgersi a personale qualificato. Vediamole insieme!
Terapia di coppia online: come e perché
Nell’immaginario collettivo, qualunque terapia viene percepita come una soluzione ad un male manifesto. Quindi, se esiste un “problema”, solo allora andrò in cerca di un modo per risolverlo. Se sono in crisi con il mio partner, allora andrò ad approfondire come un intervento terapeutico possa aiutarmi. Esiste però un’altra via.
La terapia di coppia online rappresenta un’ottima idea anche prima del manifestarsi di eventuali disagi. Se appunto svolta in ottica preventiva, e sotto la supervisione di un professionista, può contribuire a rafforzare le fondamenta della relazione. Come vedremo nei prossimi paragrafi, robuste evidenze scientifiche supportano quest’ultima ipotesi. Appena prima del matrimonio, o di una convivenza, interventi psicologici simili possono contribuire a:
- Migliorare la comunicazione tra partner;
- Migliorare la gestione delle emozioni interne alla coppia;
Come ben saprai, prevenire è sempre meglio che curare, e in casi come questi potrebbe portare a miglioramenti progressivi sul lungo periodo. Al di là dell’ottica preventiva appena descritta, la terapia di coppia online può essere utile in ogni situazione che porti ad esordio di disagi psicologici. Per esempio, a capo di eventi traumatici importanti, il modo di vivere la relazione potrebbe risentirne in ambiti differenti, tra i quali:
- Avere difficoltà nell’esprimere con l’altro il proprio punto di vista;
- Problematiche di insicurezza e autostima;
- Difficoltà nel prendere decisioni condivise;
- Difficoltà nel gestire comportamenti disfunzionali di uno dei due partner (violenza, infedeltà, dipendenza).
Ciò che a noi preme sempre ricordare è che non esistono problemi di serie A o serie B. Ogni disagio, inclusi eventuali difficoltà relazionali, deve essere affrontato con la massima professionalità. In che modo?
La terapia di coppia funziona?
La letteratura scientifica psicologica si esprime positivamente a riguardo. Secondo numerosi studi, terapie relazionali hanno un impatto positivo sul benessere psicologico, o nella risoluzione di situazioni impegnative. Nello studio di Benson e colleghi del 2012, vengono evidenziati i maggiori benefici ottenibili, tra i quali:
- Modificare la visione della coppia su eventuali problemi presenti e/o futuri, rendendo i partner più oggettivi nel giudicare, e più uniti;
- Diminuire in modo significativo comportamenti disfunzionali dovuti a emozioni improvvise (miglior gestione delle emozioni);
- Migliorare i pattern di comunicazione costruttiva;
- Enfatizzare la forza della relazione sul lungo periodo.
Lo studio citato ha preso in considerazione terapie di coppia basate su evidenze scientifiche, senza tuttavia fare distinzione tra posizionamenti teorici. I risultati sono interessanti, e avvalorano la forza del supporto psicologico erogato da esperti, indipendentemente dall’orientamento. Prima di concludere, un breve recap con risposte a domande frequenti sulla terapia di coppia:
Quando serve una terapia di coppia?
Ogniqualvolta sia presente all’interno del singolo partner, o di entrambi, un disagio psicologico di qualunque entità coinvolgente la vita di coppia (difficoltà nella sfera sessuale, crisi di coppia generica, divorzio, etc…).
Quante sedute di terapia di coppia servono?
La risposta è… dipende. Sarebbe impossibile fornire una stima precisa, a causa delle numerose variabili che influiscono sull’ecosistema coppia. Sarà il terapeuta, dopo aver analizzato la situazione, a fornire maggiori informazioni.
Come scegliere un terapeuta di coppia?
Non esiste una risposta definitiva alla domanda. Una buon modo potrebbe consistere nell’informarsi sul percorso formativo del terapeuta, e sulle sue precedenti esperienze. Nel nostro team (che trovi cliccando qui) ci sono psicologi specializzati nella terapia di coppia.
Quanto costa una seduta di terapia di coppia?
Ogni terapeuta ha la propria tariffa, che può essere molto variabile. Noi di Helpmeout offriamo sedute con specialisti, con anni di formazione ed esperienza alle spalle, a prezzi calmierati. Abbiamo preso questa decisione perché vorremmo rendere accessibile il supporto psicologico e la psicoterapia a chiunque lo necessiti, indipendentemente dal reddito. Il primo colloquio è infatti gratuito. Troverai più informazioni nel paragrafo conclusivo.
A chi rivolgersi?
Sia che tu voglia agire in ottica preventiva, che gestire crisi di coppia presunte o reali, il professionista al quale rivolgersi rimane sempre e solo uno: lo psicologo abilitato. Solo una figura di tale entità, specializzata in terapia relazionale, può fornire supporto concreto. Noi di Helpmeout mettiamo a disposizione un team di psicologi e psicoterapeuti, e offriamo tra i nostri servizi supporto alle coppie.
Se è la prima volta che entri in contatto con noi, allora devi sapere che il primo colloquio conoscitivo è completamente gratuito. Come funziona? Molto semplice: prima di tutto dovrai compilare un breve questionario, che ci permetterà di comprendere i tuoi bisogni. Solo in questo modo sarà possibile affidarti a uno dei nostri, che potrai conoscere personalmente nel colloquio conoscitivo gratuito. In seguito, sarai tu a decidere se e come continuare.
Il tutto completamente online, dovunque tu voglia agli orari per te più comodi. Compila il questionario e usufruisci di un primo colloquio gratuito. Non aspettare che una sensazione diventi un PROBLEMA, agisci. Life is too short to be unhappy.
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Sostegno psicologico Genitoriale: quando e perché
Il sostegno psicologico genitoriale, detto anche terapia di coppia genitoriale, è una tipologia di intervento psicologico, che ha come fine il consolidamento di una relazione funzionale tra appunto genitori e figli. Essere madre o padre non è semplice, soprattutto se alle prime armi, e alcune volte possono emergere situazioni conflittuali di difficile gestione. Così capita che ci si ponga domande come:
- Cosa sbaglio con mio figlio/a? Forse mi manca qualcosa?
- Come faccio a sapere se sono una brava mamma o un bravo papà?
- Essere genitori è una caratteristica innata?
- Cosa fare quanto mi sento distante da mio figlio, o a disagio con lui in determinate situazioni?
Scopriremo oggi quando ha senso rivolgersi ad un professionista, che sia psicologo o psicoterapeuta, per ricevere supporto. Numerose ricerche in ambito psicologico hanno infatti portato a risposte concrete, che tuttavia devono essere contestualizzate. Noi di Helpmeout siamo soliti ricorrere a metodologie scientificamente provate, sia durante il nostro lavoro, che l’attività di informazione sul blog. E questa guida non fa eccezione: prendendo spunto dalle migliori fonti, cercheremo informazioni rilevanti. Partiamo da una domanda che infesta le menti di molti: bravi genitori si nasce o si diventa?
Genitorialità: un mondo in continua evoluzione
L’essere umano possiede per certo una naturale spinta nel coltivare e promuovere la vita. Da un lato, quindi, si potrebbe affermare che la disposizione genitoriale è in parte innata. Dall’altro preme specificare che gli altri aspetti che possono influenzare la genitorialità non sono affatto innati, e che “genitori si diventa”. Gli aspetti più importanti vengono infatti promossi dal contesto di vita, influenzati dalle esperienze pregresse, e possono migliorare o peggiorare nel tempo:
- Rapporto di coppia che si ha con il proprio partner (condivisione di intenti, complicità)
- Il sostegno dal contesto sociale esistente;
- Eventi traumatici significativi;
- Capacità cognitive della coppia genitoriale;
- Capacità emotive e relazionali del genitore;
- Il modo con il quale una mamma e/o un papà percepisce se stesso come tale.
I fattori che influenzano il modo nel quale si affronta questa nuova sfida è legato sia al momento presente che alle esperienze passate. Per esempio, il modo in cui il genitore è stato a sua volta accudito da bambino potrebbe avere un peso importante. Diventare genitori significa accettare di passare da individui ad una coppia in grado di mettere in atto comportamenti cruciali nello sviluppo del bambino.
Per questo risulterebbe fondamentale cogliere eventuali fattori di rischio. Un supporto psicologico genitoriale risulterebbe utile non solo al manifestarsi di un disagio, ma anche in ottica preventiva. Il risultato di interventi psicologici precoci con i genitori potrebbe evitare che eventuali interazioni disfunzionali possano poi sfociare, sul lungo periodo, in una psicopatologia.
In ultimo, il ruolo genitoriale cambia con il cambiare del bambino e della coppia di genitori. Le variabili sono molteplici, impossibili da calcolare a priori. E, arrivati a questo punto, sorge quasi spontanea la seguente domanda: quali sono le caratteristiche ideali di un buon genitore?
Le caratteristiche ideali di un buon genitore
Le fake news, ultimamente, vanno forte. Per attirare curiosi, e distribuire disinformazione, si tende a dare al proprio contenuto un titolo che viene definito “Clickbait”. Si tratta appunto di una frase forte, che spesso corrisponde a domande esistenziali alle quali non c’è risposta. Ed è un po’ quello che abbiamo fatto (a fin di bene) con il titolo di questo ultimo paragrafo. Non esiste, in assoluto, l’elenco delle caratteristiche ideali del buon genitore. Ognuno di noi possiede un bagaglio di esperienze differente, essendo così unico sia come essere umano, che come mamma o papà. Come abbiamo scritto nei contenuti su instagram, e in un nostro articolo precedente:
“Si tratta di un’avventura unica…in quanto crescere con il proprio bambino spalanca la dimensione del mistero, dell’enigma: genitori si diventa, giorno dopo giorno, insieme al proprio bambino, a partire dalla quotidianità e mamma e papà scopriranno nuovi aspetti di sé e dell’altro“
Non esiste, quindi, il “manuale” del buon genitore, né il “giusto” o lo “sbagliato” a prescindere. Esistono, tuttavia, alcune accortezze che possono tornare utili. I genitori dovrebbero essere:
- Emotivamente accessibili;
- In continuo ascolto dei segnali inviati dal bambino, per poter fornire risposte adeguate;
- In grado di adattarsi contemporaneamente al ruolo genitoriale e di partner.
Come avrai capito, quindi, essere genitori non è semplice e non esiste il “metodo sicuro”. Potrebbe accadere che, soprattutto in fasi spesso più impegnative come l’adolescenza, si manifestino situazioni di disagio psicologico. Percepire il proprio figlio più distante è una situazione del tutto normale, se accompagnata da sporadici avvicinamenti. In caso contrario, potrebbero crearsi distanze emotive difficili da colmare senza il supporto di un professionista. A chi rivolgersi?
Sostegno Psicologico Genitoriale: a chi rivolgersi?
La genitorialità rappresenta un’esperienza complessa, abitata da emozioni intense tra loro contrapposte. Felicità, sorpresa, ma anche tristezza o paura legata ad insicurezze. Intraprendere un’attività di sostegno psicologico genitoriale offre spunti di crescita personale per entrambi i partner e a livello famigliare. Saper gestire in modo funzionale i conflitti di tutti i giorni migliorerà la comunicazione, favorendo un clima sereno.
Tutto questo a patto che l’intervento venga erogato da “addetti ai lavori”. Psicologi e psicoterapeuti formati in anni di studio ed esperienza alle spalle, come i professionisti che compongono il nostro team. Se pensi di averne bisogno di un supporto funzionale, ma sei indecisa/o, possiamo aiutarti anche in questo. Come funziona? Non dovrai fare altro che compilare un breve questionario, appositamente progettato per permetterti di esprimerti al meglio. Una volta che avremo capito il tuo bisogno, ti forniremo una soluzione concreta. Tra i membri del team Helpmeout, sceglieremo quello giusto per te.
E non è finita: potrai usufruire di un primo colloquio gratuito conoscitivo. Vogliamo darti la possibilità di provare “con mano”, senza investire un solo euro, che il nostro professionista sia in grado di supportarti al meglio. Sarai tu a decidere, in seguito, se proseguire oppure no. Il tutto si svolgerà online, per garantire privacy, confort e sicurezza. Sei titubante? Tentar non nuoce! Compila il questionario, e usufruisci del colloquio conoscitivo gratuito. Chiedere aiuto non è un segno di debolezza, bensì di coraggio.
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Adolescenza: Perchè è così difficile?
Ogni genitore lo sa: l’adolescenza rappresenta una delle fasi più delicate del ciclo di vita.
Quel bambino che ieri era così responsivo, così pacato ed attento a scuola, oggi sembra non essere più il nostro bambino. Parlare con lui sembra un’impresa impossibile, vediamo spesso dei voti bassi sul registro elettronico e non ce ne capacitiamo. Quando si prova a sondare il terreno si trovano spesso delle barriere, altre volte degli scatti di rabbia per noi incomprensibili.
Cosa si cela dietro tutto questo? Come si fa a navigare in questo fiume burrascoso?
Prima di tutto, per poter vivere al meglio questo periodo è fondamentale comprendere cosa stia accadendo nella mente di nostro figlio e cosa significhino quei comportamenti che ai nostri occhi possono apparire immotivati.
Come sottolinea la Teoria Psicosociale dello Sviluppo (Erickson, 1950), l’adolescenza rappresenta la fase di vita in cui ogni individuo si trova di fronte all’arduo compito di creare una propria identità. Tale periodo è caratterizzato da cambiamenti fisici e nuove esigenze sociali, che pongono la persona in un inevitabile periodo di confusione e conflitti interiori.
Come trovare la propria identità?
In questa delicata fase della vita l’adolescente si trova a fare i conti con differenti compiti evolutivi, attraverso i quali potrà definire la propria identità e ritrovare un proprio equilibrio.
I compiti evolutivi caratteristici dell’adolescenza sono quattro: il processo di separazione-individuazione, la nascita sociale, la mentalizzazione del sé corporeo e la definizione e la formazione dei valori (Pietropolli Charmet, 1990,1991; Lancini, Turuani, 2009).
- Processo di separazione-individuazione: una delle più grandi sfide dell’adolescente è quella di rendersi indipendente dai propri genitori, non solo su un piano intelletuale, ma anche su un piano affettivo. L’adolescente in questo processo è mosso da sentimenti contrastanti: da una parte sente una spinta che lo motiva ad investire in altre direzioni che non siano quelle originarie, una spinta al raggiungimento di un’indipendenza dalle rappresentazioni mentali che ha dei propri genitori. Dall’altra parte però, l’adolescente, sente ancora il richiamo dell’unione profonda sperimentata durante l’infanzia con le figure genitoriali. Il processo di separazione e individuazione rappresenta un compito molto delicato per l’adolescente, per questo è importante non sminuirlo ed avere in mente che oggi tale processo viene spesso agito con comportamenti deludenti per i genitori, non più tramite comportamenti trasgressivi come avveniva in passato. In questi comportamenti si cela quindi il desiderio di ritrovare il legame originario con il genitore.
- Nascita sociale: ogni adolescente è chiamato a definire un ruolo nelle realtà in cui vive, un ruolo che possa indicare la direzione da prendere per costruire il proprio futuro. La costruzione del proprio Sé sociale avviene per lo più attraverso le relazioni con i pari, per questo scuola ed eventuali sport/hobbies sono le realtà in cui i ragazzi si misurano con tale sfida. Alla luce di questa osservazione possiamo comprendere come mai la scuola ed i momenti di svago rivestano un ruolo così centrale per i nostri figli, che investono o disinvestono su tali realtà. Ecco quindi che i voti di scuola, la condotta, la serenità o l’agitazione durante le attività ludiche e sportive possono diventare delle cartine tornasole del mondo interno dell’adolescente, sebbene vadano lette contestualmente ad altri fattori.
- Mentalizzazione del Sé corporeo: è importante ricordare che l’adolescenza coincide con il periodo della pubertà, ossia un periodo in cui avvengono numerosi cambiamenti fisici, soprattutto riguardanti i caratteri sessuali. Tali cambiamenti sono spesso di non facile accettazione per l’adolescente che inevitabilmente fa i conti con ideali di bellezza sempre più lontani dallo standard, ma sempre più riconosciuti come prioritari. Tali confronti generano spesso sentimenti di inadeguatezza e vergogna, sentimenti che si sperimentano poi nell’interazione con i pari.
- Definizione dei valori: per costruire la propria identità è necessario che l’adolescente scelga anche dei valori di riferimento che andranno a costituire il proprio senso etico ed i propri ideali. La ricerca di valori avviene tramite l’incontro con l’altro, in particolare con figure diverse dai propri genitori (per esempio insegnanti, allenatori, amici, youtuber etc). Da questi incontri l’adolescente dovrà poi effettuare una sintesi che gli permetta di creare un proprio sistema valoriale. Tale processo oggi è più complesso rispetto a qualche decennio fa, poiché le persone sono bombardate fin dall’infanzia da modelli valoriali differenti, molti lanciati anche da strategie di marketing, attraverso i Mass media ed internet. Una scelta più ampia non può che rendere più faticoso e dispersivo il processo di sintesi necessario per creare una propria linea etica.
Alla luce di queste sfide, risulta più semplice comprendere i sentimenti di rabbia, paura e confusione sperimentati dai nostri figli. Risultano più comprensibili le arrabbiature ed i silenzi. Tuttavia questo non rende più semplice l’arduo compito del genitore, che in questa fase dovrà trovare la giusta distanza per “sorreggere il proprio figlio da lontano”. Spesso sono le madri ad avere maggiore difficoltà nel lasciare andare il proprio figlio per permettergli di sperimentarsi e di costruire la propria identità in ambienti che siano diversi da quello familiare, è quindi grazie al supporto del partner che ciò può avvenire con più semplicità.
Per questo è importante che tra genitori e figli ci siano degli equilibri che permettano a tutti i componenti di sostenersi l’un l’altro nel proprio ruolo. Per concludere, durante l’adolescenza il genitore dovrà lasciare al proprio figlio lo spazio di esplorare, cadere, facendosi trovare vicino e disponibile quando egli richiederà vicinanza, proprio come quando muoveva i primi passi. Del resto non è un caso che l’adolescenza venga spesso descritta come una seconda nascita.
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Scritto da:
Dottoressa Elena Oppedisano
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Dipendenze affettive: come comportarsi?
Hai mai sentito parlare di dipendenze affettive? Un fenomeno silente, che spesso, come nel caso della relazione tossica, non viene facilmente riconosciuto da chi lo vive in prima persona (come vedremo, i due concetti sono strettamente legati). Oggi, noi del team di Helpmeout ti forniremo informazioni di elevata qualità sull’argomento, ispirate da riviste scientifiche internazionali e fonti accademiche autorevoli, comunicate in modo semplice e leggero.
Inizieremo dalle basi per poi arrivare a consigli sul come riconoscere una dipendenza affettiva, e a quale figura professionale rivolgersi per ottenere un supporto adeguato, al fine di uscirne. Consiglio la lettura a chi ha pensato – o pensa tutt’ora – di aver vissuto situazioni simili. Cercheremo una risposta alle seguenti domande: le dipendenze sono tutte uguali? Mi spiego meglio: c’è differenza tra una dipendenza da sostanze, e una dipendenza affettiva? Cos’è una dipendenza affettiva, cosa la caratterizza, e come uscirne?
Esistono dipendenze più gravi di altre?
In una parola: NO. Partiamo dal presupposto che non esistono dipendenze di serie A e di serie B. Ognuna di esse consiste in un legame psicologico instaurato tra una persona e una sostanza, un comportamento o con un secondo individuo, che sul lungo periodo porta ad un completo annullamento delle caratteristiche personali in favore dell’altro. Non a caso Timmen Cermak, lo scienziato che diede vita al termine “co-addiction”, concetto alla base della dipendenza affettiva, è celebre per gli studi sulle dipendenze da sostanze. Ed esattamente riguardo a questa ultima, ad essere oggetto dell’addiction sono alcool o stimolanti come la nicotina (tabacco) e la caffeina. Qui è, ovviamente, la sostanza ad esercitare una forte attrazione, con effetti devastanti nel breve, medio e lungo periodo.
Altrettanto sfortunatamente celebre è il disturbo da gioco d’azzardo, inserito e descritto nell’ultima versione del DSM come:
“Un comportamento problematico persistente o ricorrente legato al gioco d’azzardo che porta a disagio o compromissione clinicamente significativi”
Sebbene non esistano ancora criteri diagnostici specifici, studi recentissimi hanno inoltre identificato una nuova dipendenza, che si sta affermando in questi anni: la dipendenza dai social media. A conclusione di questo paragrafo introduttivo, è possibile affermare che non esistono differenze, per esempio, tra dipendenza da sostanze e dipendenza affettiva. Anche le neuroscienze supportano questa ipotesi, poiché le strutture cerebrali attive di base sono le medesime, che si tratti di social media o relazione di coppia.
Andiamo ora ad esplorare, nello specifico, cosa sono le dipendenze affettive e come affrontarle.
Dipendenze affettive: cosa sono e come riconoscerle
Allo stesso modo delle dipendenze da sostanze, o delle dipendenze da gioco d’azzardo patologico, nella dipendenza affettiva la persona sente un forte vuoto che va colmato in questo caso con la presenza dell’altro. Come nell’omonimo disturbo di personalità (disturbo di personalità dipendente), è presente una mancanza di fiducia in se stessi e dell’iniziativa. Da fonti autorevoli:
“Tali persone sono incapaci di reagire alle modificazioni richieste dalla vita e chiedono agli altri di assumersi responsabilità di aree importanti della loro esistenza. Le crisi che generano i risvolti peggiori avvengono a capo di eventi stressanti come il lutto, la perdita di lavoro o di crisi coniugale”
Sims’ Symptoms in the Mind: An Introduction to Descriptive Psychopathology
Viene quindi attribuita ad altri un’importanza tale da annullare se stessi, con una conseguente perdita di autostima. Nelle relazioni di coppia, per esempio, la persona dipendente potrebbe non riuscire ad essere felice senza l’altro. Il disagio psicologico e le conseguenze sono potenzialmente devastanti per l’individuo. Allo stesso modo, una relazione nella quale uno dei due partner possa essere definito dipendente dall’altro può essere indicato con il celebre termine “relazione tossica”. Ecco le risposte ad alcune domande frequenti sul tema in questione.
Come si crea una dipendenza affettiva?
Le cause del fenomeno possono essere più di una. Il contesto, inteso come insieme di unità, ruoli e relazioni sociali, così come le differenze individuali ed esperienziali, e il sistema valoriale personale potrebbero contribuire a facilitare l’esordio di una dipendenza affettiva.
Come si riconosce una persona con dipendenza affettiva?
Una persona che ha sviluppato una forte dipendenza nei confronti di un’altra tenderà ad essere molto influenzabile dal partner, tanto in fatto di giudizio che di emozioni. Allo stesso modo, tenderà ad essere maggiormente accondiscendente, rinunciando ai propri interessi, fino ad annullarsi totalmente.
Quali sono le differenze tra amore sano e dipendenza?
La coppia è sana fintanto che entrambi i partner, stando bene insieme, possano coltivare le loro reciproche individualità. E questo nella completa consapevolezza di non essere né egoisti né troppo accondiscendenti. Al contrario, nella dipendenza che potrebbe venire a crearsi all’interno di una relazione tossica, l”individualità di uno dei due viene spesso a mancare, o comunque è ridimensionata in favore dell’altro.
Sebbene la suddetta terminologia non possa essere ricondotta ad alcuno studio scientifico, è incontestabile il fatto che il disagio psicologico causato da una relazione malsana possa portare a patologie psicologiche ben conosciute.
Sarebbe possibile uscire da una dipendenza affettiva da soli? Forse si. Il modo migliore, tuttavia, consiste nel farsi assistere da un professionista
Guarire da una dipendenza affettiva: la migliore scelta
Come hai potuto comprendere, non esistono difficoltà psicologiche meno gravi di altre. La dipendenza affettiva è fonte di disagio psicologico, e va trattata quindi nel miglior modo possibile: rivolgendosi a professionisti psicologi e/o psicoterapeuti, con anni di studio e di esperienza alle spalle in tale materia. Evita il “fai da te”, non giocare con la tua salute psicologica rivolgendoti ad improvvisati.
Noi di Helpmeout offriamo supporto individuale e di coppia a chiunque ritenga di averne bisogno. Avrai la possibilità, tramite la compilazione di un questionario, di trovare lo psicologo più adatto alle tue esigenze. Dato che siamo ben consci del fatto che non sia semplice, diamo la possibilità a chiunque non sia mai entrato in contatto con noi di usufruire di un primo colloquio conoscitivo gratuito, senza impegno. In seguito, sarai tu a decidere se e come proseguire.
Potrai ricevere supporto da uno dei professionisti del nostro team, selezionati per esperienza clinica ed empatia. Compila il questionario e di usufruisci del primo colloquio gratuito conoscitivo. Per stare meglio non occorrono anni di terapia, basta lo psicologo giusto.
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Relazione tossica: come riconoscerla e come uscirne
Il limite tra amore e relazione tossica esiste, ma spesso risulta difficile da comprendere per le persone che vivono la situazione. Ciò che troverai in questa guida riguarda i modi per identificare una potenziale relazione definibile come tossica, come affrontarla e risolverla in modo permanente nel modo più funzionale. Ma, prima di tutto chiediti: qual è il reale significato dell’espressione? Esistono metodi scientificamente validati per definire una relazione come tossica?
Il termine venne coniato nel 1995 da Lillian Glass nel suo libro Toxic People. La Glass definisce la relazione tossica come:
“Una relazione nella quale due persone non si supportano a vicenda, prevaricandosi l’un l’altro senza alcun rispetto”
Noi di Helpmeout siamo soliti fornire informazioni dettagliate, avvalendoci delle miglior fonti scientifiche come volumi accreditati e database internazionali. Per questo, urge sottolineare che Lilian Glass esprime il suo parere servendosi di un binomio che non viene citato in alcuno studio presente in ricerca psicologica. Il termine stesso “relazione tossica” non possiede ancora una definizione scientifica, ma viene appunto utilizzata nel linguaggio colloquiale per rendere manifesto un disagio psicologico all’interno di una coppia, o presunta tale.
Nonostante la terminologia esuli dalla scienza, tuttavia, le conseguenze potenziali sono ben documentate, e possono sfociare nella psicopatologia. Può accadere infatti che all’interno di una relazione di qualunque tipo, che sia amorosa, amicale o famigliare, si manifestino determinate dinamiche nocive per il benessere psicologico individuale. Simili eventi potrebbero creare una situazione di disparità reale o percepita, contribuendo a diffondere un importante disagio psicologico. Andiamo a scoprire, ora, quali potrebbero essere.
Quando una relazione è “tossica”?
La relazione è la somma delle interazioni che avvengono tra persone, rappresenta qualcosa che viene edificato con l’altro sul lungo periodo. Una dinamica additiva, che nel bene e nel male si evolverà nel tempo. Così come non esiste il “principe azzurro”, allo stesso modo non esiste la relazione perfetta, ed è del tutto normale riscontrare dinamiche di coppia accese, in base a situazioni di vita e alle caratteristiche personali degli individui. L'”essere una coppia”, oltre a gioie quotidiane, comporta un certo impegno in termini di tempo ed energie da parte dei due partner. La tossicità nasce quando una relazione porta solo pensieri negativi e, anziché dare, toglie e crea disagio psicologico in uno dei membri della coppia.
Molto spesso poi risulta difficile accorgersi di vivere una relazione tossica, per un semplice motivo: i fattori scatenanti possono essere molteplici. Altre volte, al contrario, le persone tendono a rimanere in relazioni insoddisfacenti, nonostante percepiscano che qualcosa non funzioni. Questo può avvenire per innumerevoli cause sia interne che esterne. Ogni relazione, poi, è differente dall’altra, perché plasmata da eventi unici, filtrati da credenze e valori individuali e non. Ecco alcuni segnali che possono aiutare a comprendere la qualità della relazione:
- Mancanza di supporto reciproco nel momento del bisogno;
- Difficoltà comunicative;
- Critiche distruttive e mancanza di entusiasmo;
- Pensieri intrusivi immotivati legati al comportamento del partner (presunti tradimenti e simili);
- Impoverimento della rete sociale di amici e conoscenze in favore della relazione;
- Forte voglia di evitare esperienze di condivisione;
- Costante sensazione di stress psicologico dovuto al pensiero di trascorrere del tempo col partner.
Le conseguenze psicologiche di una relazione tossica sono in potenza disastrose, e possono portare ad una diminuzione di autostima, a senso di dipendenza verso l’altra persona, senso di colpa, tristezza, umore depresso, fino a raggiungere violenza verbale e malessere psicofisico. Ritengo fondamentale sottolineare che, a capo di una qualunque delle conseguenze elencate, NON è detto che tu stia vivendo una relazione tossica. Nel prossimo paragrafo, vedremo perché.
Come uscire da una relazione tossica
Con l’avvento di Google, e in generale di Internet, al giorno d’oggi risulta semplice trovare spiegazioni apparentemente valide a problematiche diffuse. Vivere relazioni insoddisfacenti, o di difficile gestione può essere ritenuta una situazione comune durante l’arco di vita, vissuta da un gran numero di persone. Non tutte le relazioni insoddisfacenti, però, possono essere definite come potenzialmente nocive. Il problema si presenta quando, a causa di quella relazione, la persona non riesce più a portare avanti la sua vita come vorrebbe.
Se pensi di vivere una relazione tossica, e vuoi realmente risolvere il problema, evita di eseguire un’autodiagnosi dopo aver letto un articolo online. Per quanto possa essere ben scritto e scientificamente supportato, si tratta ovviamente di un punto di vista generico, non di un consiglio su misura per la tua situazione.
Le informazioni digitali sono un punto di partenza, che dovranno essere discusse con uno specialista del settore. L’unico modo per migliorare la propria situazione, consiste nel rivolgersi a professionisti per una terapia individuale, di coppia o supporto psicologico. Come ho detto prima, ogni relazione è differente, e i consigli di amici o non addetti ai lavori, anche se dati in buona fede, potrebbero essere controproducenti.
Un amico tende a dare pareri in base alle proprie esperienze di vita. Uno psicologo, invece, possiede la conoscenza adeguata di tecniche e strumenti scientificamente validati, maturata in anni di studio e pratica, per poter intervenire nel miglior modo possibile. Non giocare con la tua salute mentale, rivolgiti ad un professionista.
L’importanza del supporto qualificato
Se ritieni di aver bisogno di un supporto, ma non sai bene come funziona o da che parte iniziare, ti aiuteremo anche in questo. Consci di quanto sia difficile trovare uno psicologo che si adatti alle esigenze di chi decida di affidarsi a noi, abbiamo brevettato un metodo unico nel suo genere, che prevede tre passi fondamentali. Per prima cosa, dovrai procedere alla compilazione di un questionario utile a comprendere le tue esigenze. In secondo luogo, ti affideremo ad uno dei nostri professionisti, con il/la quale potrai fissare un primo colloquio gratuito. Solo in seguito potrai decidere se e in che modo proseguire.
Compila il questionario e usufruisci del primo colloquio conoscitivo gratuito. Life is too short to be unhappy.
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Terapia psicologica individuale: come funziona?
Hai mai sentito parlare di terapia psicologica individuale? Come funziona? Qual è il momento giusto per richiedere interventi simili? In questo articolo introdurremo l’argomento, portando esempi significativi, per permetterti di capire se sia la strada giusta per te, e a chi rivolgerti in caso di bisogno. Tengo particolarmente ad approfondire la tematica perché molto spesso, e non per colpa loro, le persone non possiedono un’idea chiara.
Chi non si è mai trovato, dopo eventi stressanti, in una condizione di disagio? Questo perché, al contrario di quanto molti pensano, il disagio psicologico rappresenta una situazione comune, vissuta più volte dalla maggior parte delle persone nell’arco della vita. Al sopraggiungere di difficoltà psicologiche, l’essere umano occidentale tende a comportarsi principalmente in tre modi:
- Faccio finta di niente, e vado avanti con la speranza che prima o poi andrà meglio;
- Mi rivolgo al mio miglior amico, o a non addetti ai lavori, con la speranza che abbiano “la parola giusta” per me, tanto è solo una cosa psicologica;
- Mi rivolgo ad un professionista della salute mentale, per farmi aiutare.
E qui sorge un problema. La salute dell’individuo passa anche per la testa, ed è importante prendersi cura di sé a tutto tondo. Già nel 1948 l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) aveva definito la salute come uno stato di benessere mentale, fisico e sociale, e non con la semplice assenza di malattia. Supponiamo, ora, che tu stia soffrendo di un disagio psicologico che tendi a verbalizzare come depressione, stress lavoro correlato, o di natura sessuale. A chi potresti rivolgerti?
Se buchi la ruota della bicicletta, dovrai andare al negozio di biciclette per risolvere il problema. Se vuoi migliorare il tuo aspetti fisico, una buona idea sarebbe andare dal persona trainer. Ciò che non dovresti fare è il contrario, ovvero andare dal personal trainer per farti sistemare la ruota, e dal negozio di biciclette per dimagrire. La situazione appena descritta, benché a tratti potrebbe apparire provocatoria, rappresenta uno scenario (purtroppo) ben noto agli addetti ai lavori. In che modo? Scopriamolo insieme, codice deontologico degli psicologi alla mano,
Terapia psicologica Individuale: a chi rivolgersi
Se hai un disagio psicologico e vuoi provare una terapia psicologica individuale, dovresti recarti da professionisti della salute mentale. Una buona idea potrebbe essere rivolgersi ad uno psicologo abilitato, o a uno psicoterapeuta. I motivi sono principalmente due:
- Uno psicologo abilitato ha perseguito un iter formativo universitario di cinque anni, e almeno un anno di formazione sul campo.
- Uno psicologo abilitato ha sostenuto e superato con successo l’esame di stato in psicologia/o ha comunque svolto le ore di tirocinio formativo psicologico, e può quindi essere ritenuto idoneo per fornire supporto a chi ne necessiti.
E, come riportato nell’articolo 1 della legge 56/89
Articolo 1. Definizione della professione di psicologo
- La professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito.
Affidarsi a improvvisati non certificati, quindi, potrebbe addirittura essere controproducente. La laurea in psicologia ha una durata di cinque anni, e una potenziale aggiunta dai 3 ai 4 anni ulteriori per chi si perfeziona in psicoterapia. Le tempistiche potrebbero variare in base all’orientamento. Riprendiamo l’esempio sopra riportato, se hai problemi con la bicicletta, e vai dal personal trainer per sistemare la ruota, cosa succede? Tornerai a casa con meno soldi, e il problema irrisolto.
Questo perché il personal trainer non possiede né teoria né pratica in merito. Il titolare del negozio di biciclette padroneggia scienza ed esperienza, e fornirà un risultato ottimale. Epiloghi simili possono essere riscontrati anche nel campo della salute mentale. L’unica (si fa per dire) differenza è che non si parla di biciclette, ma appunto di disagio o di benessere. Un professionista del settore è sempre l’idea migliore, soprattutto quando si parla di salute e prevenzione.
Come funziona, nel pratico, il supporto psicologico?
La terapia psicologica individuale può essere svolta sia dal vivo che online. Secondo numerose e recenti ricerche scientifiche, non c’è differenza tra un intervento di persona e online: entrambe le soluzioni sono efficaci in egual misura. E anzi, la terapia psicologica online presenta numerosi vantaggi che approfondiremo nei prossimi articoli. Per oggi, ci limiteremo a dire che, soprattutto nel periodo odierno dove in alcune regioni per alcuni sarebbe impossibile raggiugere il proprio psicologo di fiducia, la terapia psicologica online potrebbe rappresentare un ottimo strumento per sentirsi meglio.
Un altro esempio emblematico è la situazione degli espatriati italiani nel mondo. A causa delle numerose difficoltà potenziali che sottendono ad un radicale cambiamento delle abitudini di vita, e della rete sociale, la salute dell’expat viene spesso sottoposta a rischi specifici. Fenomeni come lo shock culturale o la depressione causata dalla nostalgia di casa, possono infatti influenzare in modo importante la salute degli individui che vivono lontano dalla propria patria. La terapia online rappresenta, per questi ultimi, una risorsa preziosa perché tramite essa è possibile interagire con uno psicologo che parli la medesima lingua.
Noi di Helpmeout crediamo nella possibilità di scelta, e che ogni problema o sofferenza meriti di essere ascoltata. Per questo mettiamo a disposizione il nostro team di professionisti qualificati tra i quali potrai scegliere. L’abbiamo già scritto, ci teniamo a ribadirlo: siamo fortemente orientati a fornire soluzioni personalizzate, perché ognuno di noi ha esigenze differenti. Pensi di aver bisogno di un professionista, ma non sai da che parte iniziare? Come un sarto che prepara un abito su misura, noi ti cuciamo addosso la terapia giusta per te, trovando il professionista più adatto ad aiutarti. Prima di decidere se intraprendere la terapia con noi, potrai provare gratuitamente, e solo in un secondo momento accettare di proseguire. In che modo?
Compilando un breve questionario, che ci permetterà di offrirti il miglior supporto tra i nostri professionisti. Che aspetti? Compila il questionario, e usufruisci del primo colloquio conoscitivo gratuito. Se c’è una soluzione, perché tenersi il problema?
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